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ottobre  2010 

CARRI ARMATI A REGGIO CALABRIA?

 Risposta inutile ad un deprecabile equivoco.

di Antonio Camuso

 


Esercito a Reggio Calabria? Risposta inutile ad un deprecabile equivoco.

 

Il colonnello Custer ed il suo 7 reggimento erano ormai alle costole di Toro Seduto e dell’ultimo pugno di rognosi Sioux scampati alle numerose operazioni di controllo del territorio.

Custer   poteva ritenersi soddisfatto: appesi alle pareti della suo carro c’erano  i manifesti con taglia riguardanti i trenta più pericolosi capi indiani ribelli e ben ventinove  di essi erano barrati con  una bella X a significare che erano stati uccisi o catturati, e ben presto anche l’ultimo,  Toro Seduto sarebbe stato tra le sue mani.

 A questo punto il grado di generale gli sarebbe stato concesso e questo grande successo lo avrebbe fatto salire tra le grazie del Presidente e degli uomini più insigni del governo e dell’economia , la sicurezza di  un bel posto in Parlamento e magari …chissà un bel giorno a salire sullo scranno della Casa Bianca ci sarebbe potuto essere anche lui…

Ben altra cosa era la situazione per Toro Seduto : i suoi capi migliori non c’erano più, i giovani lo avevano abbandonato preferendo alle battaglie campali e alle ritirate strategiche , le facili incursioni a fattorie di coloni e sconfinamenti nel vicino Messico, i vecchi guerrieri erano ormai stanchi e non vedevano l’ora di tornare dalle squaw nella riserva e morire in santa pace per vecchiaia.

Toro Seduto dopo aver valutato  l’ultima offerta del Gran Capo bianco ovvero arrendersi, far ritornare  i guerrieri nella riserva  e per lui un posto nel circo di Buffalo Bill, decise di accettare e in segno resa  e di volontà di pace inviò,  tramite un messaggero,  la sua lancia di guerra, quella alla quale nessun capo indiano  si sarebbe mai separato se non in punto di morte.

 Ma per Toro Seduto, arrendersi ed andare a fare il pagliaccio in un circo , non era come morire? Quindi addio alla sua bella lancia, ornata degli scalpi di decine di  bianchi, che lui,  con le sue proprie mani,  aveva scotennato in cento battaglie.

La sfortuna volle che  il messaggero prima di giungere al campo di Custer si fermasse presso una taverna gestita da un comancheros e scolatosi una bottiglia di pessimo wisky arrivò in condizioni pietose al campo dei bianchi e le poche parole che biascicò, unite con quella lancia ornata di scalpi  di bianchi furono male interpretate,  con le conseguenze che noi tutti conosciamo….il disastro di Little Big Horn..Custer ammazzato…il conseguente invio di un intero esercito contro un pugno di indiani ladri di galline e di cavalli. Ben altra cosa fu il guadagno che ricadde su fornitori dell’esercito e dell’intera lobby politico-militare  che , vincendo l’ultima battaglia contro i pellerosse,  incominciò a dedicarsi alle imprese all’estero aumentando influenza e business.

 

A distanza di un centinaio di anni gli equivoci si ripetono e la mancanza o la non volontà di comprendere i linguaggi “criptati” degli indigeni autoctoni comporta un grave esborso allo Stato e alle tasche dei cittadini in  denaro e sangue .

Santino Riccio, l’ultimo dei capi della ndrangheta reggina era al colmo di un attacco depressivo: con l’arresto di Totò, Mimmo e Lorenzo, la tradizionale partita a scopa della domenica nel suo modestissimo bunker con idromassaggio, megaschermo, cappella con organo del Seicento,  con chi l’avrebbe potuta più fare?

Ad uno ad uno quei fetenti dei carabinieri e dei loro amici li avevano scovati tutti i suoi luogotenenti. Erano andati a pescarli nei cunicoli, nelle grotte sotterrane, dietro muri di cemento armato,  insomma,  dove sino allora si pensava impossibile trovarli!!!

Purtroppo la tecnologia avanzava e nascondersi sotto terra sembrava inutile. Elicotteri e aerei con radar e sonar, satelliti spia  con visori all’infrarosso e qualche maledetto appartenente ai clan perdenti, che aveva fatto qualche soffiata,  avevano provocato un vero disastro.

 Ma la cosa che più non gli andava,  era che,   gli amici delle logge  massoniche coperte di Reggio, Catanzaro, Crotone  e Cosenza,  tutto ad un tratto,  risultavano irreperibili, fuori all’estero per congressi, affari, viaggi di piacere o semplicemente affetti da gravi malattie …maledetti!!!…lui che li aveva fatti arricchire , farli eleggere sindaci, consiglieri, amministratori,  deputati o senatori, ora da loro veniva trattato come un appestato col rischio di ritrovarsi una mattina con i cani poliziotto nel suo rifugio a ringhiargli sulla faccia!!!

“-Basta! “-disse Santino”-  questa volta mi arrendo e se non mi aiutano gli “amici” ne racconto delle belle  sul loro conto!”-

Presa questa decisione occorreva far arrivare un messaggio al Procuratore Capo, un messaggio esplicito di resa , l’equivalente di  una lancia spezzata!

Fu così che decise di inviargli l’oggetto che gli ricordava i momento più bello della sua carriera , quando alla testa dei suoi uomini fece fuori con un colpo di bazooka  la macchina blindata che trasportava Peppino,  il capo clan  rivale della Piana di Gioia Tauro,  divenendo lui il capo della ’ndrina calabrese.

Per Santino staccarsi da quel simulacro , quel bazooka  che aveva abbellito per tanto tempo il suo bunker  fu un momento tristissimo, ma ormai la decisione era presa: la resa  era inevitabile per poter salvare il patrimonio di tutta la “famiglia” sparso in mille banche offshore e a rischio di esser “cuccato” dalla Finanza in vena di medaglie.

Il procuratore  Giovanni Ildritto, che in quei giorni era in vacanza a Cannittello, quando seppe che Santino gli aveva mandato un regalo in segno di resa saltò sulla sedia!

Possibile? Allora la guerra era vinta e finalmente avrebbe potuto godersi i frutti di un lavoro indefesso e costato tanti sacrifici!

Sì,  ma dove aprire quello scottante pacco senza che  vi fosse qualche ficcanaso a immortalarlo con una foto compromettente?

Fu così che lui e i suoi assistenti e la scorta decisero di “inguattarsi” dietro  un pilone di cemento che   da qualche mese era sorto  alla periferia del paesino calabro e che doveva essere il primo di una serie che avrebbe unito finalmente l’isola al continente con il Famoso Ponte sullo Stretto.

Un bel Pilone, grande, solido , immenso e  ancora infiocchettato da quando Berlusconi era venuto ad inaugurarlo, ma che ora giaceva  abbandonato sommerso da carcasse di auto, copertoni usati, carogne di gatti morti e cataste di schede elettorali falsificate.

 La confezione regalo fu scartata da mani ansiose. Dal rumore e dalla consistenza si pensava ad una tela  antica in tema religioso, con raffigurato un facoltoso penitente prostrato davanti ad un santo; già altre volte, in Sicilia,  questa procedura si era accompagnata con la resa di qualche boss famoso. Il contenitore  tubolare, metallico , di colore verde  era invitante,   ma risultava difficile la comprensione del meccanismo di apertura. Di fronte all’imbarazzo del giudice accorse in aiuto il carabiniere scelto Gennariello  Dioceneguardi  che,  con fare  saccente ,  riuscì inizialmente a  far scorrere  una parte di esso verso l’esterno, senza però altro risultato.

Poi dopo le insistenze del giudice e tanti scossoni e scuotimenti   per estrarre il dipinto “ di resa”  da quel tubo misterioso,  il CC Gennnariello, soddisfatto,  indicò un pulsantino:

“-Ecco da dove si apre! Basta premere qui!”-

 BOOOOOMMM !!!

Dio Santo !!!

Da quel c…. di tubo invece di uscire un quadretto seicentesco partì un missilaccio che,  sfiorando giudice e mezza procura di Reggio Calabria,  andò a finire contro il Grande Pilone.

Dio mio!!!

 Quell’opera maestosa che sarebbe dovuta essere indistruttibile , si sbriciolò come un castello di sabbia. Sì,  perché purtroppo gli amici di Santino,  di sabbia di mare e pochissimo cemento avevan fatto quel pilone che, cadendo,  sotterrò la monnezza sottostante.

“-E mò,  chi glielo dice a Berlusconi che siamo stati noi a buttarlo giù?”-

Dopo un lungo confabulare si decise di montare una bella messinscena : trasportato il tubo maledetto e scaricato davanti al tribunale , il carabiniere Gennariello telefonò ad un giornale locale dicendo che c’era un regalo per il giudice antindragheta

Sappiamo tutti come poi sono andate le cose…

Il ritrovamento del bazooka vuoto, il can-can mediatico sulla “sfida allo Stato “ e poi gli strilli di Castelli,  il giorno dopo,  quando scoprì che l’ennesimo sabotaggio aveva colpito una opera di siffatto valore artistico.

Tutto ciò ebbe come conseguenza la richiesta generale  e bypartisan dell’invio dei carri armati a Reggio Calabria,  o meglio,  nel capoluogo ne mandarono uno e lo  misero dinanzi alla Procura  ostruendo l’ingresso al giudice e ai suoi uomini ed impedendogli  così di accedere ai fascicoli delle inchieste in corso. 

Tutti gli altri carri armati li utilizzarono  per scortare le betoniere di cemento “ arricchito con sabbia di mare” di proprietà di Santino,  per costruire in fretta in furia l’Opera  Maxima del Leader Supremo che fu visto il giorno del taglio del nastro concedere allo stesso  Santino l’onorificenza di cavaliere del lavoro…

 ANTONIO CAMUSO

OSSERVATORIO SUI BALCANI DI BRINDISI

7 OTTOBRE 2010

 


 

 

 

 

 

  

 

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