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 sul tetto del provveditorato:

ovvero sulle lotte dei precari della scuola

della Campania

di Francesco Caruso

Le forche caudine, quel dolce valico che segna la frontiera naturale del
Sannio, per molti anni ha rappresentato una frontiera invalicabile per il
conflitto e le lotte sociali.
Il profilo dei due personaggi più famosi che questa terra ha partorito già
aiutano a capire il contesto culturale nel quale ci muoviamo: Padre Pio e
Clemente Mastella. Un brodo culturale insipido e indigesto, con i suoi
malefici ingredienti di clientelismo e parassitismo politico che
favoriscono la rassegnazione, il vomito o l'emigrazione.
Eppure Elvira, Patrizia, Daniela, Mariolina, Elisa sono nate e cresciute in
questa terra. L'hanno percorsa in lungo e in largo, sulle sgangherate
strade provinciali, ogni mattina per dieci anni tra un incarico e una
supplenza, a tappare i buchi dell'inarrestabile sfacelo della scuola
pubblica italiana.
Ma ora non c'è più spazio per loro. La Gelmini e il suo governo Berlusconi
hanno già deciso: della scuola si può anche far a meno.
Per acquistare i cacciabombardieri F-35, per finanziare le spese militari,
gli abusi edilizi e le cementificazioni selvagge, le privatizzazioni degli
utili e le nazionalizzazioni delle perdite, da qualche parte si dovrà pur
tagliare!
E allora finiamola di sperperare soldi per insegnare ai nostri figli il
sapere: le veline ed i tronisti, il razzismo e l'ignoranza, la menzogna e
la corruzione sono le coordinate inculturali nelle quali devono muoversi. A
cosa serve allora annoiarli con Socrate o Manzoni?
Decine di migliaia di prigionieri politici della burocrazia statuale delle
graduatorie, degli incarichi, delle supplenze e dei pescecani privati della
formazione permanente sono oggi finalmente liberi. Liberi di morire di fame.
La Gelmini ha risolto finalmente il problema della precarietà nella scuola,
semplicemente cacciando via i precari: basterà chiudere qualche altra
scuola, aggiungere la sedicesima fila di banchi in ogni classe, raddoppiare
le ore di lavoro, e l'ennesima magia della finanzia creativa di Tremonti
troverà la sua concretizzazione.
I giornali e le telvisioni di regime ripeteranno mille volte una bugia fino
a farla diventare verità e il dualismo classista scuola pubblica per i
poveri e scuola privata per i ricchi diventerà ancor più una ruvida realtà.
Il film è già visto: il governo ha deciso, ma il ministro ascolterà i suoi
amici sindacati, l'opposizione parlamentare presenterà i suoi inconcludenti
emendamenti, una minoranza rumorosa scenderà per strada con i cartelli.
Tutto sembra filar liscio fino a quando un granello di sabbia inceppa
quest'immensa messa in scena.
Non un attore, non un regista, nè tantomeno un produttore, ma sono 7
semplici comparse che dalle retrovie più remote irrompono nel palcoscenico
e scombinano ruoli e trama.
Invece di mettersi sommessamente in fila presso il politico di turno ad
elemosinare quel diritto diventato ormai un favore da implorare, 7
insegnanti precarie decidono questa volta che è meglio seguire
l'insegnamento vincente degli operai dell'INNSE piuttosto che le promesse
inconcludenti di Sandra Lonardo Mastella.
L'operazione non è poi tanto complicata. Si entra dall'ingresso principale
ma invece di fermarsi al primo piano a leggere le graduatorie, si sale le
scale fino all'ultimo piano. L'unico strumento indispensabile da portarsi
con sè è una corda: con quella saliranno poi striscioni, megafono, sacchi a
pelo, materassini e tanta, tanta acqua. Il caldo soffocante è infatti il
problema più "cocente", molto più oppressivo di quell'agente della digos
che come al solito ci gira intorno: siamo cresciuti insieme, ormai lo
conosco tra una denuncia e un'altra, da ormai quindici anni, ma dal primo
giorno sul tetto del provveditorato, complice la moglie insegnante in
graduatoria senza incarico, vive in uno stato profondo di crisi di identità.
Le insegnanti non sono professioniste della rivolta, militanti
dell'antagonismo sociale, ma piuttosto mamme diligenti, persone "normali"
che infatti quando si incazzano diventano le più irrefrenabili.
Per mesi hanno lavorato nell'ombra, un comitato dei precari della scuola
come i tanti sbocciati in questi anni fuori e spesso contro i sindacati
concertativi, per mesi a cercare di sensibilizzare l'opinione pubblica e le
istituzioni rispetto al dramma preannunciato del licenziamento di massa.
Al loro fianco quasi sempre il deserto, le porte chiuse dei politici
locali, l'indifferenza diffusa, ad esclusione degli inesauribili attivisti
del circolo cittadino di rifondazione comunista e del centro sociale
Depistaggio, anche in questi giorni sempre in prima fila 24 ore su 24 nel
supporto della lotta, ma altrettanto attenti ad evitare di apparire per non
fornire alibi e clique per chi vuol delegittimare questa lotta e liquidarla
come mero prodotto sovversivo dei soliti professionisti della rivolta.
Ma invece c'è sempre chi preferisce affogare nell'apparenza piuttosto che
sporcarsi le mani nella sostanza.
Dopo l'arrampicata ed i primi giorni sul tetto, infatti basta qualche
titolo sui giornali nazionali ed inizia la processione: ora non sono più
loro a rincorrere i politici, ma viceversa sono quest'ultimi che inseguono
i precari.
Il partito democratico è da questo punto di vista è il caso psicopatologico
più grave: incapace di costruire un opposizione degna di questo nome, si
accalca ogni tanto su questo tetto, a testimoniare non solo la sua
solidarietà, ma anche e soprattutto la sua inutilità.
Prima i dirigenti locali, i suoi eletti negli enti locali, poi i
parlamentari e infine finanche il segretario nazionale! Il loro arrivo si
intuisce dalla comparsa delle telecamere, la loro ripartenza dalla loro
mancanza: il tentativo è ricostruire e ristabilire la solita
"sceneggiatura", il primato della politica dell'immagine e della
rappresentanza virtuale sulle spalle del protagonismo dei soggetti sociali.
E l'immagine sorridente di un incauto Franceschini, che dopo aver trascorso
pochi minuti con le precarie a spiegare che loro presenteranno gli
emendamenti che tanto il governo li boccerà, si sposta sulla ringhiera per
farsi riprendere dai giornalisti, ignaro dello striscione sul tetto che lo
sovrastra, con la scritta: "cari politici, basta passarelle".
Show must go on! E il sottosegretario di governo che sale sopra il tetto. E
poi l'arcivescovo per la benedizione.
Non ci si fà mancare nulla, e le porte si aprono sempre a tutti, con
qualche pizzico sulla pancia.
Non è il momento di chiudersi, ma di aprire contraddizioni sul fin troppo
ampio fronte nemico.
Su quel tetto si è scelto di salire per irrompere e scompaginare la società
dello spettacolo, piegare la distorsione della spettacolarizzazione per far
veicolare la necessità e la forza del conflitto sociale, del noi collettivo
e organizzato contro l'io in solitudine e atomizzato.
Per questo lo sguardo da quel tetto non si sofferma sugli stantii
protagonisti delle sceneggiature della politica tradizionale, ma piuttosto
volge l'attenzione verso la riproducibilità dell'autorganizzazione sociale
e la generalizzazione del conflitto: Salerno, Napoli, Roma, Catania,
Palermo, Caserta, Taranto, Foggia, Cosenza, Bari, Cagliari. In questi
giorni la protesta dilaga in tutto il sud e in tutt'Italia.
Sapere che le immagini della lotta sul tetto del provveditorato di
Benevento abbiano potuto contribuire seppur in picolissima parte a dare
ulteriore forza e coraggio a queste altre decine di mobilitazioni è il
convincimento attraverso il quale le insegnanti sannite trovano la
determinazione di portare avanti questa loro battaglia. Perchè la lotta può
vincere solo attraverso una sua estensione e radicalizzazione.
Non c'è nessuna volontà di avanguardia, le precarie sannite sono ben
consapevoli di essere solo un piccola scintilla.
Ma anche una piccola scintilla può incendiare la prateria.

Francesco Caruso

3 settembre 2009


Francesco Caruso

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