ARCHIVIO STORICO BENEDETTO PETRONE

 

I MOVIMENTI DI LOTTA NEGLI ANNI 60 E 70 NEL MONDO

RACCONTATI DA NOI

SVIZZERA/1

1968

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69

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Lotte operaie in Svizzera 1945 -1973

la crescita di una classe multinazionale

 edizioni Nuovi Editori  (Padova marzo 1975)

tradotto da  ARBEITERKAEMPFE  in der SCHWEIZ 1945-1973

 

E’ un interessante libro in formato manuale politico redatto in meno di cento pagine che ci porta dai primi giorni di pace in Europa, dopo la II GM, coincidenti con la rottura della pace sociale e il risveglio della coscienza di classe in Svizzera (imposta dalla guerra) ,fino all'inizio dei turbolenti anni 70.

Un libro in cui sono narrate con un accurata cronologia le lotte della classe operaia in Svizzera contro lo sfruttamento capitalista. Una classe operaia  in continua trasformazione sia nella sua componente “etnica” (ovvero quasi totalmente di nazionalità svizzera nel primo dopoguerra  ed in seguito dalla composizione multinazionale grazie all’immigrazione proveniente  dall’Italia , Spagna , ecc), sia in quella professionale, quando le nuove esigenze capitalistiche richiederanno  la presenza  di personale meno qualificato da impiegare nei reparti ad alta automazione.

Leggiamo in questo libro come dai fenomeni frontalieri   prevalentemente tedeschi e italiani  nelle dinamiche determinatesi nel dopoguerra si aggiunse anche l’immigrazione interna poichè anche nella verde Svizzera gli abitanti di alcune regioni  più povere  subirono gli stessi ricatti che alcuni anni dopo determinarono la disgregazione del tessuto sociale e la distruzione delle tradizionali economie di molte parti del nostro Sud a causa della politica delle cosiddette cattedrali nel deserto, grandi complessi industriali, finanziati da aiuti statali.

In svizzera nei primi anni 50 furono i contadini dell’alta Vallesia ad essere trasformati in operai di altiforni per la produzione di alluminio e costretti a lavorare fino a 60 ore la settimana con il miraggio di un salario soddisfacente, da noi furono i contadini della provincia di Brindisi o quelli del Tarantino che lasciarono i loro vigneti per andare a lavorare nei reparti ad alta nocività del Petrolchimico della Montedison di Brindisi o dell’Italsider di Taranto.

 

Fino alla fine degli anni 50 le cronache delle lotte che leggiamo in questo libro videro gli operai svizzeri  superqualificati ad essere il motore trainante, poi all'inizio degli anni 60  comparve una nuova figura di emigrante,  simile a quello che riempì ben presto le catene di montaggio della FIATe di altri colossi industriali europei.

Si trattò degli italiani delle regioni del Sud, spagnoli, i primi turchi; operai senza mestiere che andavano bene per qualunque lavoro dequalificato e monotono,divenendo i nuovi schiavi della produzione.

Ma ben presto  questa nuova classe operaia  divenne  altrettanto temibile  per i padroni svizzeri  quanto la vecchia classe operai a svizzera superprofessionalizzata.

Contro entrambe,  repressione, un rigido controllo delle dirigenze sindacali ufficiali e il crumiraggio legalizzato  furono le armi più utilizzate dai padroni elvetici.

Le risposte operaia furono forme di lotta durissime, sabotaggio e forme embrionali di autorganizzazione.

Contro  gli italiani membri  o simpatizzanti del PCI fu spesso condotta una campagna di sistematica repressione mentre il furore xenofobo filofascista andò crescendo. nella democratica Svizzera.

Curiosamente ad essere espulsi furono  quei militanti del PCI che  sostenevano convintamente l'integrazione  degli emigrati nei sindacati svizzeri.

Questi quadri si facevano illusione  sulla ipotesi riformista  e sul ruolo  dei circoli operai del PCI, le Colonie Libere ecc,  che dopotutto sembravano meglio di niente.

Con la repressione degli anni 60 queste strutture subirono un tracollo che lasciò il vuoto ma anche la necessità di un organizzazione operaia autonoma che superasse l'ipotesi riformista.

TRa il 64 e il 66  scioperi selvaggi e repressione si fondono con la presenza di nuovi operai  politicizzati. Tra tutti gli episodi ne ricordiamo uno:

Quando a fermare la centrale atomica furono gli italiani...

Nel giugno 66  furono 56 operai italiani ad iniziare lo sciopero sul cantiere della centrale atomica di Berznau in costruzione.

Subito la stampa elvetica, l'ufficio cantonale del lavoro e lo stesso  sindacato svizzero li attaccarono.

La conseguenza fu l'intervento della polizia che  sequestrò i passaporti  degli scioperanti intimando il rimpatrio  a coloro che non avessero voluto rientrare a lavorare.

Solo in venti restarono mentre gli altri, definiti agitatori sovversivi , riattraversarono la frontiera .

Gli agitatori volanti.

La presenza di squadre di  agitatori che varcavano la frontiera e cercavano di farsi assumere nei posti dove il conflitti stava per scoppiare è confermata in questo libro, un’esperienza  ripetuta in territorio svizzero ,nella prima parte degli anni 70, da molti militanti di organizzazioni extraparlamentari italiane.

 Di tutto ciò ne abbiamo traccia come  ARCHIVIO STORICO BENEDETTO PETRONE , nei materiali  contenuti nel Fondo Rosario Attanasio e da molte  testimonianze orali raccolte.

 

68-73 LA NUOVA STAGIONE DI LOTTE ovvero la riscossa degli emigranti

Dopo la riorganizzazione  del lavoro determinatesi con l’espandersi dell’automazione , nel 67 un operaio su tre   , in Svizzera, era straniero, determinando così le condizioni ideali per una nuova stagione di lotte nella quale  influì molto la presenza su base cantonale degli emigrati.

In Ticino dove la presenza degli italiani era maggiore, le lotte furono inizialmente più intense, poi esse si estesero a Ginevra ed infine nella regione di Zurigo con il movimento delle casse pensione.

Iniziarono gli italiani nel gennaio 1967 nella fabbrica di  bottigliette Mignons di Chiasso . Poi furono gli operai della fabbrica di penne a sfera “Penrex” nel Mendriosiotto, nel luglio del 1968 per ottenere tre settimane di ferie.

Contemporaneamente, luglio 68, scioperarono gli operai della Malisa contro il cottimo. Entrambe le lotte condotte dai frontalieri. La lotta alla Penrex dopo un mese di occupazione  fu una grande vittoria operaia.

Nell’aprile del 69 un’altra fabbrica di penne entrò in lotta a Caslano , sempre grazie a frontalieri italiani. Essi con il loro  esempio permisero la partenza di una nuova fase: quella dell’autorganizzazione delle lotte.

Un caso emblematico anche se terminato in sconfitta fu quello della Savoy di Stabio (Ticino) che scioperarono per tre settimane per il salario minimo garantito e contro il cottimo. Gli operai elessero una direzione  autonoma dello sciopero, purtroPpo la lotta rimase isolata avendo dall’altra parte uniti il padrone ed il sindacato svizzero.

L’importanza di questa lotta  fu nel rifiuto assoluto della logica sindacale da parte operaia che rifiutarono la politica contrattuale mediatoria e la commissione interna sindacale collusa col padrone.

Nel contempo ci fu anche un piccolo sciopero degli operai italiani delle acciaIerie Monteforno di  Bodio

Infine nel completare il quadro di questo periodo , nell’agosto del 68 gli operai dell’alluminio di Martigny scioperarono contro il lavoro nocivo, Il diritto alla salute entra così nelle rivendicazioni sindacali anche in svizzera.

 Chiudiamo qui questa prima parte  anticipando semplicemente che nei tre anni successivi  gli stagionali spagnoli fecero sentire la loro forza , grazie anche al loro alto livello di politicizzazione, alla presenza  tra di loro di membri del PCE e dell’appoggio di gruppi della nuova sinistra svizzera.

Guerriglia urbana a Berna  in solidarietà agli autonomisti baschi!

Nel dicembre 70   a Berna , come in altre parti d’Europa , Italia compresa , si svolsero iniziative in favore degli autonomisti baschi  processati i in quei giorni a Burgos (Spagna) all’appello risposero circa mille persone, quasi tutti operai spagnoli; mentre il corteo si metteva in moto, un commando occupò l’ufficio spagnolo del lavoro.

La polizia arrivò poco prima dei dimostranti con l’equipaggiamento antisommossa. Ci furono scontri, la polizia usò gli idranti   e alla fine gli occupanti lasciarono l’edificio. Davanti all’ambasciata spagnola il corteo si scontrò contro le barriere della polizia. I manifestanti lanciarono petardi e pietre, la polizia mise in azione  gli idranti con i gas lacrimogeni mischiati all’acqua ( brevetto svizzero) i manifestanti si ritirarono lanciando sassi.  Nel frattempo la notizia si sparse per radio e giunsero altri manifestanti, dopo due ore giunse notizie che una donna era stata arrestata, allora una delegazione di donne andò a trattare, Alla fine si giunse alla sospensione delle ostilità permettendo che circa 4.000 persone terminassero il loro corteo senza aver subito nessun arresto

 

FINE PRIMA PARTE