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Palermo 23 maggio 2009

Lo striscione dei COBAS. sulla morte della scuola. scatena la reazione poliziesca.

Una brutta giornata quando si doveva commemorare le morti per mafia comunicati, articoli

I FATTI raccontati dai COBAS



Verso le 17, in via Notarbartolo, davanti al
palco per la celebrazione dell´anniversario
della strage di Capaci, i
Cobas hanno steso sull´inferriata di un cancello
il loro storico (ha
sulle spalle 16 anni di servizio) striscione LA MAFIA
RINGRAZIA LO
STATO PER LA MORTE DELLA SCUOLA. Qualcuno (non sappiamo se tra
gli
organizzatori della Fondazione Falcone o - come suggerisce qualche
poliziotto - uno dei tanti capataz presenti) ordina perentoriamente
alla
polizia di far togliere lo striscione. La Digos ci intima di
togliere lo
striscione. Lo striscione viene mantenuto al suo posto.
Allora una ventina
di energumeni in vestito nero e cravatta, senza
alcun contrassegno che ne
dimostrasse l´appartenenza alla Polizia
hanno
preso a staccare il lungo
striscione (almeno 7-8 metri).
Numerosi
attivisti dei Cobas e del movimento
antagonista palermitano,
che si
erano schierati davanti allo striscione,
hanno cercato di
contrastare l´
azione del manipolo in grisaglia. La
resistenza dei
compagni si è
limitata a tener lo striscione, che veniva
tirato via
da
provocatori
sconosciuti, e ad urlare VERGOGNA. Nella
confusione,
un
compagno dei
Cobas finisce a terra, per fortuna, senza gravi
conseguenze e per poco
gli uomini in nero non vanno a ribaltare una
carrozzina con un bambino
sopra. La protesta monta, il coro VERGOGNA
sovrasta le voci amplificate
del palco, operatori e fotografi
riprendono.
Conquistato il nostro
striscione, gli uomini in nero si
disperdono tra i
manifestanti. Ma non
bastava rimuovere lo
striscione,
occorreva dare anche
una lezione: così
gli uomini in nero
fermano una
docente dei Cobas, nota
alla Digos
perché è lei che
solitamente va in
questura a chiedere le
autorizzazioni; altri due
compagni dei Cobas,
accortisi dell´assenza
della
compagna fermata,
vanno a cercarla una di
traverse più in là e
sono fermati
anche loro.
I tre vengono portati in
questura, dove
giungono prontamente
anche
alcune di decine di compagni
del movimento
antagonista e tre avvocati
che la polizia non fa
entrare. Ai fermati
viene notificato un verbale
della
Digos in cui si
ipotizzano tre capi d´
accusa: vilipendio  allo
stato,
manifestazione
non autorizzata e
resistenza alle forze
dell'ordine. Verso le
20 i tre
fermati escono
dalla questura,



LE
CONSIDERAZIONI



I motivi di
questa azione
repressiva, oltre quelli
condivisibili espressi da
Umberto Santino nell´
allegato articolo,
vanno ricercati nella stretta
autoritaria del regime
berlusconiano
contro l´opposizione sociale come
recentemente avvenuto a
Torino in
ben due occasioni: la protesta degli
operai di Pomigliano e
la
manifestazione degli studenti universitari.

La rimozione dello
striscione è stata solo una scusa, nella
manifestazione
circolavano
numerosi altri striscioni e cartelli non
proprio allineati al
clima
"volemose bene": "Via D'Amelio strage di
stato", contro il lodo
Alfano,
ecc.

Le accuse ai tre fermati mosse
sono iper-pretestuose:

- Siamo
stati attaccati da uomini in nero che
non sapevamo chi
fossero;
davanti
allo striscione eravamo una ventina
di persone che
ci siamo visti
attaccare da perfetti maneschi
sconosciuti;
personalmente ho visto il
primo
distintivo da poliziotto
solo una
mezz´ora dopo i fatti. Come
detto ci siamo
limitati a un tiro
alla
fune per tenerci il nostro
striscione. Valuteremo
con gli
avvocati se
ci sono gli estremi per
denunciare la prepotenza degli
uomini in nero.

- La denuncia per
manifestazione non autorizzata è
risibile:
partecipavamo a
una
manifestazione con tanto di presenze
istituzionali. La denuncia appare
ancora più strampalata quando
colpisce 3 persone che da sole hanno
tenuto
una manifestazione non
autorizzata!

- L´accusa di vilipendio
allo stato mostra che la
scarsa
dimestichezza dei
questurini con la
lingua italiana.

- L´
accusa di
violenza fa parte del tradizionale
strumentario
inquisitorio
contro
gli attivisti politici. Le numerose
riprese video
delle tv presenti e
della polizia stessa possono
dimostrare chi ha
fatto violenza.



Nonostante ciò, ci ritroviamo con
l´ennesimo atto
intimidatorio da
parte
della questura contro il
movimento antagonista
palermitano. Ne
ricordiamo
uno per tutti, l´
ostinata persecuzione nei
confronti di
Pietro Milazzo.

Sull´altro
versante registriamo la
puntuale e
confortante solidarietà del
movimento antagonista
palermitano che si è
dato appuntamento per
un'assemblea cittadina
martedì 26 maggio alle ore
19:00 al Laboratorio
Zeta
(centro sociale
sotto minaccia di sgombero),
in via Arrigo Boito,
sui temi
del
pacchetto sicurezza e delle misure
repressive che
prefettura e
questura
di Palermo da troppo tempo
attuano contro chi si
azzarda a 
rivendicare
diritti.

Carmelo Lucchesi della CONFEDERAZIONE COBAS PALERMO


COMUNICATO DELLA FEDERAZIONE ANARCHICI-COMUNISTI  

SICILIA FDCA

I militanti della Federazione dei Comunisti Anarchici - Sicilia esprimono la loro solidarietà a tutte vittime del grave atto di repressione messo in atto dalla Digos, durante la celebrazione dell'anniversario della strage di Capaci il 23/5/09.

Condanniamo questo ennesimo atto repressivo, fortemente significativo dei tempi di fascistizzazione che viviamo, in cui il dissenso è criminalizzato, in cui lo Stato tinge di illegalità qualunque azione di riscatto o difesa sociale.

Le recenti norme del pacchetto sicurezza altro non sono che la dichiarazione dei non diritti, dove si sancisce: la criminalizzazione di qualunque forma di lotta o denuncia sociale, la negazione del diritto di opporsi a leggi sbagliate e alle ingiustizie sociali.

Il padrone ringrazia il servo, oggi lottare contro le ingiustizie sociali e lo strapotere del capitalismo, è diventato, stanti le leggi dello Stato, ancora più difficile, ma noi non ci arrendiamo. Continueremo sempre a lottare per l'alternativa sociale per un mondo diverso, di donne e uomini liberi non più sfruttati ma uguali.

Allora non c'è da stupirsi che oggi uno striscione che fino all'anno scorso non dava fastidio sia preso a pretesto per metter a tacere una voce scomoda, oggi che lo Stato ha pianificato come mettere a tacere l'opposizione sociale, gli organizzatori possono chiedere che sia la PS a rimuovere tanto fastidio, in barba all'insegnamento che la lotta antimafia si fa attraverso il riscatto sociale e la libertà.

Per concludere ricordiamo a tutti che su indicazione della stessa Falcone, la Digos ha violentemente rimosso lo striscione dei Cobas e cercato di impedire a militanti della Rete Sicurezza Lavoro di pubblicizzare la campagna di solidarietà nei confronti del lavoratore Palumbo, mentre ben gradiva le bandiere di Azione Giovane. Il grave atto repressivo su commissione ha portato:

  • al fermo di tre lavoratori Cobas e alla successiva denuncia: resistenza, vilipendio allo Stato, e sanzione amministrativa per manifestazione non autorizzata, per essersi opposti alla rimozione forzata da parte della Digos dello striscione con su scritto "La mafia ringrazia lo Stato per la morte della scuola pubblica", striscione che da anni veniva esposto (senza nessuna obbiezione) nella stessa occasione;
  • al ferimento durante i tafferugli di alcuni militanti del movimento, intervenuti in difesa dei militanti Cobas; al ferimento della moglie (che per proteggere il figlioletto che stava cadendo dal passeggino si è ferita ad un braccio) del lavoratore Palumbo, licenziato dalla Fincantieri per le sue denuncie come responsabile della sicurezza per i lavoratori, anche lui fortemente minacciato insieme ad altri compagni della Rete sulla Sicurezza nei posti di lavoro intervenuti a difesa dei lavoratori Cobas.

Con tutta la nostra solidarietà di classe,

per la FdCA Sicilia
Maurizio Galici

24 maggio 2009


Comunicato di solidarietà dell'associazione cittadini invisibili

Lo Striscione dei COBAS è sempre lo stesso, la scritta è identica da tanti anni , solo un po’ consumata dal tempo,  eppure quest’anno quella scritta chiara e netta su “quello striscione non piace”.

Deve essere tolto, esprime un “dissenso” che qualcuno ieri non ha accettato.

E solo quello striscione con quella scritta: LA MAFIA RINGRAZIA LO STATO PER LA DISTRUZIONE DELLA SCUOLA PUBBLICA”.

Tutto ciò è estremamente preoccupante e solleva ancora una volta  inquietanti domande.

A chi quest’anno lo striscione non piace?; Chi decide di fare intervenire in maniera così violenta contro esponenti dei COBAS di Palermo?; E’ frutto della libera scelta delle nostre forze dell’ordine che hanno il dovere di cautelarci e garantire la libertà di espressione garantita dalla nostra Costituzione o l’ordine è partito da qualcuno ?.

E’ già sera inoltrata quando i tre esponenti dei Cobas vengono rilasciati dalla polizia accusati di questi reati: vilipendio allo stato, manifestazione non autorizzata e resistenza a pubblico ufficiale.

Questi nostri amici quest’anno non hanno potuto partecipare come sempre alla manifestazione del 23 maggio.

Hanno commemorato la strage in Questura.

Qualsiasi commento è inutile.

Il fatto si commenta da sé.

In attesa di ricevere risposta alle inquietanti domande, si esprime  solidarietà totale ai Cobas ed agli amici denunciati, e l’invito ad andare avanti e a non mollare perché, con il contributo di tutti  “un mondo migliore è possibile”. 

 

Barbara Grimaudo - Per I Cittadini Invisibili? No! Grazie

 

 

 

 

Articolo di Fulvio Paleologo Vassallo

PALERMO 23 MAGGIO -  SI LIMITA LA LIBERTA’ DI MANIFESTAZIONE.

 

1. Con la “Direttiva del Ministro per le manifestazioni nei centri urbani e nelle aree sensibili”, del 26 gennaio 2009, si impartivano ai questori istruzioni precise per regolare le manifestazioni in luogo pubblico. Secondo questa direttiva “ il diritto costituzionalmente garantito di riunirsi e manifestare liberamente in luogo pubblico costituisce espressione fondamentale della vita democratica e come tale va preservato e tutelato. L’esercizio di tale diritto deve tuttavia svolgersi nel rispetto di altri diritti costituzionalmente garantiti e delle norme che disciplinano l’ordinato svolgimento della convivenza civile. La frequenza di manifestazioni determina non di rado, nella complessa realtà dei centri urbani di maggiori dimensioni, criticità nell’ordinato svolgersi della vita cittadina tali da limitare, condizionandoli, i più comuni diritti dei cittadini come ad esempio il diritto allo studio, il diritto al lavoro e il diritto alla mobilità. E’ necessario quindi intervenire sulla disciplina esistente, adeguandola alle nuove esigenze. La necessità di un tale intervento è ancor più evidente in ragione del fatto che le iniziative si ripetono e si concentrano, per ricercare la massima visibilità, nelle maggiori città, luoghi privilegiati della rappresentanza istituzionale e politica. In ogni caso è importante che la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza siano sempre resi compatibili con il diritto di riunione e con la libertà di manifestazione del pensiero”

Nella direttiva si ricorda come l’art. 17 della Costituzione riconosca ai cittadini il diritto di riunione, purché sia pacifico e senza armi. Si aggiunge poi che “per le riunioni in luogo pubblico è previsto l’obbligo di preavviso alle autorità che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica. Il ministro dell’interno richiama poi  “il disposto dell’art. 18 del TULPS che sancisce l’obbligo, in capo ai promotori, di preavviso al Questore almeno tre giorni prima. Il quarto comma prevede che il Questore possa, in caso di omesso avviso o per ragioni di ordine pubblico, di moralità o di sanità pubblica, impedire che la riunione abbia luogo o prescrivere modalità di tempo e di luogo della riunione”.
La direttiva, emanata dal ministro Maroni “ai sensi dell’articolo 1, della Legge n. 121, del 1° aprile 1981”, contiene l’invito ai Prefetti a stabilire regole – d’intesa con i Sindaci – e sentito il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, per:
1. sottrarre alcune aree alle manifestazioni;
2. prevedere, ove necessario, forme di garanzia per gli eventuali danni;
3. prevedere altre indicazioni per lo svolgimento delle manifestazioni.
 Tali determinazioni (da condividere il più possibile con le forze politiche e sociali) troveranno forma in un apposito provvedimento del Prefetto, inizialmente anche in forma sperimentale”.

Gli effetti della direttiva si sono avvertiti in tutta Italia, dalle manifestazione degli operai per la difesa del posto di lavoro alle lotte degli studenti e dei docenti contro la privatizzazione della scuola e della università. In qualche caso si è andato ancora oltre, come a Milano dove ad alcuni rifugiati politici che manifestavano per il riconoscimento dei loro diritti è stato imposto di ritornare davanti alla commissione competente per l’esame delle richieste di asilo, con il concreto pericolo di revoca del loro status, e quindi di espulsione, al di là da quanto previsto dalla Convenzione di Ginevra e dalle direttive comunitarie in materia di revoca dello status di rifugiato. Ovunque le “zone rosse” si sono moltiplicate a dismisura, con decisioni unilaterali delle autorità amministrative che hanno contribuito ad una estremizzazione del conflitto sociale, con cariche di polizia in assetto antisommossa ed un uso generalizzato di manganelli e fumogeni. Si sono moltiplicati i casi di denuncia per resistenza a pubblico ufficiale e manifestazione non autorizzata.

2. A Palermo, durante alcune manifestazioni svoltesi davanti alla prefettura nel corso dell’inverno è stato persino impedito di sostare sul marciapiede antistante l’ingresso degli uffici di questura, di attraversare la strada in gruppi sulle strisce pedonali, di esporre striscioni sulla cancellata della prefettura. Si è arrivati alla notifica di un “avviso orale” per intimare a Pietro Milazzo, sindacalista ed esponente delle battaglie sociali più importanti che si sono combattute a Palermo negli ultimi anni, una condotta più consona all’esigenza di non turbare la quiete sociale, mentre in tutta la città dilaga una illegalità diffusa che neppure il coraggio di pochi ( che si oppongono) e i successi di alcune operazioni di polizia riescono ad arginare.

Sempre a Palermo, sabato 23 maggio, durante la commemorazione del diciassettesimo anniversario della strage di Capaci,  davanti all’albero Falcone in via Notarbartolo, alcuni agenti di polizia hanno fermato e trasferito in questura tre lavoratori dei Cobas che esponevano uno striscione presente da anni in tutte le manifestazioni antimafia, con la scritta “ LA MAFIA RINGRANZIA  LO STATO PER LA MORTE DELLA SCUOLA”. Uno slogan- secondo quanto riferito in un comunicato dei COBAS- che evidentemente vuole sottolineare come la lotta alla mafia deve essere condotta, oltre che sul livello repressivo, anche su quello del miglioramento delle condizioni socio-economiche di una larga parte di popolazione che diviene il bacino di arruolamento e di consenso all'agire malavitoso. “Da questo assunto la necessità di un intervento dello Stato verso la garanzia di dignitose condizioni di vita per tutti i cittadini da garantire con un'offerta di servizi sociali (scuola, sanità, trasporti, ecc.), di lavoro o di un reddito minimo garantito”.

 

I tre rappresentanti dei COBAS accompagnati in questura nel pomeriggio di sabato 23 maggio sono stati denunciati per vilipendio allo Stato, resistenza a pubblico ufficiale e per manifestazione non autorizzata, mentre altri gruppi che esponevano striscioni contro i depistaggi nelle inchieste sulle stragi di mafia, o contro il pacchetto sicurezza e le misure annunciate contro i migranti, potevano continuare ad esporre i loro striscioni fino alla fine della manifestazione. Evidentemente lo striscione dei COBAS toccava un nervo scoperto degli organizzatori e dei rappresentanti istituzionali, dopo che nella mattinata, caratterizzata da frequenti richiami al nesso tra la scuola e la legalità, diversi ministri tra i quali Maroni e la Gelmini avevano caratterizzato con la loro presenza le manifestazioni ufficiali, alla presenza del Capo dello Stato. Sembrerebbe che l’invito a far ritirare lo striscione dei COBAS sia pervenuto alla polizia dall’associazione della sorella del giudice Falcone, che aveva richiesto le autorizzazioni per la manifestazione. Una manifestazione che non era soltanto commemorativa, neppure nelle intenzioni degli organizzatori, e che è stata ritenuta, da qualcuno, come appannaggio esclusivo di chi la aveva promossa, puntando proprio sul tema della legalità e della scuola, come confermato dalla presenza organizzata di centinaia di giovanissimi studenti fatti arrivare da diverse parti d’Italia.

 

La memoria delle vittime della mafia, nel doveroso rispetto del dolore dei congiunti delle vittime, non appartiene a gruppi privati ma fa parte della memoria collettiva di tutti i cittadini palermitani, che in passato hanno partecipato, a centinaia di migliaia, alle diverse manifestazioni antimafia con striscioni ben più determinati contro la presenza della mafia e dei suoi favoreggiatori nelle istituzioni. Anche quando negli anni ’90 si erano attaccati i vertici della polizia e dei servizi segreti. Basterà scorrere i giornali ed i libri di storia per verificare come in passato, durante le manifestazioni in onore dei giudici uccisi e delle loro scorte, gli striscioni erano ancora più polemici nei confronti delle istituzioni e dello stato, di quello esposto ieri dai rappresentanti dei Cobas.

Qualcuno, piuttosto che puntare il dito contro chi esprime un legittimo dissenso, dovrebbe interrogarsi perché oggi alle manifestazioni antimafia partecipano esclusivamente  i rappresentanti istituzionali, gli “addetti ai lavori” e le loro scorte, e solo alcuni soggetti sociali come gli alunni delle scuole specificamente invitati ed organizzati. E’ venuta meno la partecipazione spontanea dei cittadini, e quando questa si esprime sembra non trovare spazio per esprimere il proprio dissenso.

 

La presenza pacifica di un piccolo gruppo di manifestanti, sotto uno striscione non gradito agli organizzatori, è bastata a fare contestare i reati di manifestazione non organizzata e di vilipendio allo Stato, come se esprimere il proprio diritto di critica verso chi vorrebbe gestire le istituzioni dello stato come una azienda privata, attaccando la indipendenza della magistratura, la libertà di informazione e i diritti di libertà per imporre politiche antisociali nella scuola, nel mondo del lavoro e in tutti gli altri comparti della nostra società, potesse diventare un fatto penalmente perseguibile a discrezione di qualche associazione o di alcuni agenti di polizia.

  

Appare evidente come si sia voluto “difendere” in questo modo la trasformazione della manifestazione del 23 maggio in una parata ufficiale, reprimendo pacifiche manifestazioni di dissenso sociale che denunciano, proprio nel settore dell’istruzione, le scelte tendenti alla privatizzazione come un regalo alle mafie che alimentano il proprio consenso sulla ignoranza e sul cattivo funzionamento della scuola pubblica, mentre i figli dei ceti più abbienti, e della borghesia para-mafiosa, possono studiare nelle scuole private ed anche all’estero. Il processo di privatizzazione, condannando al dissesto la scuola pubblica, abbatte uno degli argini più importanti che in questi anni sono stati alzati con uno sforzo enorme da migliaia di insegnanti, in gran parte precari, che, quartiere per quartiere, si sono battuti contro la “mafiosità” quotidiana. Una battaglia che è stata anche la battaglia degli esponenti dei COBAS fermati dalla polizia, condotti in questura e denunciati per gravi reati, solo perché volevano manifestare con uno striscione richiamandosi a questa loro, e nostra, battaglia quotidiana contro la mentalità mafiosa e l’aperto consenso verso la mafia che dilaga, come confermano recenti inchieste, nelle scuole di ogni ordine e grado.

 

La riduzione del numero delle classi, l’aumento degli alunni per ciascuna classe e il licenziamento di quasi sessantamila insegnati, come hanno denunciato i COBAS, “dequalifica la scuola, crea disagio sociale e dà elementi alla mafia per conquistare i giovani emarginati del meridione”. Questo messaggio, riassunto nella frase contenuta nello striscione incriminato, non è stato ritenuto “tollerabile” da chi ha impartito l’ordine di sequestrare lo striscione e di fermare i tre lavoratori della scuola che lo sostenevano, accusati addirittura di avere organizzato una manifestazione non autorizzata all’interno della manifestazione commemorativa del giudice Falcone, della moglie e degli agenti della scorta. Come se esporre uno striscione non gradito agli organizzatori configurasse automaticamente la violazione del divieto di manifestazione non autorizzata. Una concezione assai preoccupante della democrazia e dell’ordine pubblico.

 

3. Quanto successo a Palermo costituisce una conferma ulteriore, se mai ve ne fosse ancora bisogno, della svolta autoritaria in corso in Italia, come confermato anche dalle norme contenute nel recente disegno di  legge sulla sicurezza, che precarizza i migranti, ma colpisce anche direttamente tutte le fasce più deboli della popolazione italiana, con la nuova normativa sulla residenza e la idoneità degli alloggi. Si tende a criminalizzare non solo gli immigrati irregolari ma anche tutte le aree del dissenso sociale.

Si reintroduce il reato di oltraggio a pubblico ufficiale, un reato tipico del codice penale fascista, dopo che era stato abrogato, anche per effetto di sentenze della Corte Costituzionale, e lo si prevede con una sanzione ancora più grave di quella stabilita in precedenza con la reclusione fino a tre anni. Un ipotesi che, come osservano gli studiosi (Cognini) “verrà usata facilmente dentro contesti di conflittualità sociale che si possono determinare nei prossimi mesi. La stessa cosa possiamo dire anche in riferimento agli aggravamenti che riguardano il reato di danneggiamento, che andranno quindi a colpire comportamenti sociali diffusi, cose di scarsissimo allarme sociale come possono essere la semplice scritta o il disegno su un muro, che non rappresenta certo pericolosità e non configura nessun elemento di rischio, ma che viene punito pesantemente proprio per quello che rappresenta il gesto, per il significato o il contenuto di una scritta. Lo stesso vale per l’imbrattamento o il deturpamento”. 

Un altro aspetto di forte preoccupazione, che si sottolinea, “riguarda poi una specifica aggravante che verrà contestata a chi commette un reato con la partecipazione di soggetti minorenni. In precedenza l’aggravante riguardava il fatto di commettere un reato avvalendosi di minori e quindi presupponeva un comportamento attivo, l’utilizzo di un minorenne. Questa parte viene modificata e l’aggravante diventa il solo fatto che il reato venga commesso in un contesto in cui sono presenti soggetti minorenni. E questo non ha nulla a che vedere con una maggiore tutela, ovviamente legittima, dei minori Se pensiamo per esempio all’invasione di edifici, a tutte quelle forme di riappropriazione di spazi pubblici che passano attraverso le occupazioni, ci rendiamo conto come l’aggravante possa essere facilmente utilizzata. Ci sono infatti fenomeni sociali di rivendicazione di diritti e di extra-legalità che, fisiologicamente, per composizione sociale, comprendono soggetti maggiorenni e minorenni, sui quali sarà applicata l’aggravante di reato” ( Cognini).

Esiste una continuità diretta tra le decisioni del ministro dell’interno, le scelte antisociali del governo, le prassi delle forze di polizia, l’obiettivo comune è la cancellazione di ogni forza organizzata di dissenso sociale. Si vuole mantenere ed accrescere la divisione tra le forze di opposizione, sulla base del consueto paradigma che definisce violenta e contro le istituzioni qualsiasi posizione di protesta che non si piega ad un compromesso finale o alla logica dei rapporti di forza esistenti. Una violenza, individuata anche in una presunta resistenza, che cessa di essere ipotesi di responsabilità individuale, che andrebbe comunque accertata in sede giurisdizionale,  per trasformarsi in responsabilità collettiva e quindi nella delegittimazione preventiva di intere organizzazioni o di gruppi che praticano il conflitto sociale, ieri la CGIL, oggi i COBAS ed i centri sociali, domani non si sa chi.

Il rischio alla fine è che le nuove disposizioni di legge, anticipate dalle prassi di polizia, e gli apparati di controllo sociale e di riproduzione dei consensi, orientino l’opinione pubblica verso allarmi fasulli, verso una falsa sensazione di (in)sicurezza, nascondendo anche l’evidenza dei fatti e la violazione sostanziale delle regole e del sistema delle libertà e delle garanzie, che caratterizzano lo “stato di diritto” sancito dalla Costituzione. Quanto ci rimane oggi dello stato di diritto, e cosa può fare ciascuno per difendere le residue prospettive di democrazia e libertà? Come salvaguardare in futuro il diritto al dissenso e la libertà di manifestazione?  Come si potrà battere la mafia se non si potrà combattere per la garanzia dei diritti sociali, come il diritto alla istruzione pubblica ? Interrogativi che ieri, in tanti si ponevano a Palermo, durante la commemorazione del giudice Falcone, mentre i tre esponenti dei Cobas venivano portati via dalla polizia per avere esposto uno striscione non gradito. Qualcuno pensava anche a “manifestazioni non autorizzate” alle quali aveva partecipato in passato. Come dopo la strage di via D’Amelio, nella quale vennero trucidati il giudice Borsellino e gli agenti della sua scorta. Un corteo spontaneo di cittadini e poliziotti, in via Roma, verso la Prefettura di Palermo, con le mani appoggiate sulle macchine della polizia con i lampeggianti accesi.

Fulvio Vassallo Paleologo

Università di Palermo