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In nome di Allah..La data palindroma della rivoluzione egiziana

Il poeta greco Sotade è vissuto in Alessandria d’Egitto nel III secolo a.c. Secondo la tradizione, si deve a lui l’invenzione del "palindromo". Il palindromo è una sequenza di caratteri numerici o letterali, come anche frasi e sillabe, che letta a rovescio rimane identica. Sotade ebbe il coraggio di criticare e attaccare il faraone Tolomeo II in occasione del suo matrimonio incestuoso con la sorella Arsinoe II. Per questa critica, fu costretto a fuggire nell’isola di Cauno e poi catturato, chiuso in una cassa di piombo e gettato in mare.

In Egitto nel terzo secolo prima di Cristo fu inventata quindi la palindromia da un poeta che si mise contro il faraone e che per questo motivo fu condannato a morte. In egitto, ieri, nella data palindroma 11.02.2011, è caduto Hosni Mubarak detto "il faraone". L’’effetto domino investirà pesantemente tutti i paesi del mediterraneo. Basta guardare i primi scossoni in Algeria e l’esodo massiccio dalla Tunisia verso Lampedusa.

Con più di 300 morti e 5000 feriti l’Egitto attraversa la più grave crisi dal 1952. La popolazione egiziana, della quale circa la metà vive con 2 dollari al giorno, si è finalmente ribellata ed ha dato, in qualche modo, un avvertimento agli autocrati di tutto il mondo.

Trenta lunghi anni di lento declino economico e di liberalizzazione selvaggia. Basti pensare ai vergognosi monopoli dove imprenditori come Ahmed Ezz tiene in mano più del 70% dell’acciaio del paese. L’economia si è inginocchiata sempre più sgombrando il campo da ogni possibile sfumatura: solo, ricchi schifosamente ricchi e poveri schifosamente poveri. Niente più produzione, esportazione, ricerca ma solo un sistema corrotto mantenuto dai miliardi di dollari ricevuti annualmente dal Congresso americano.

Una grande e lunga sopportazione da parte dei cittadini egiziani che non sono piagnoni, che hanno cercato di adattarsi al costo della vita, di inventarsi mestieri nuovi e che hanno continuato a sorridere pur non avendo nè aspettative nè speranze. Fave e felafel è stato per molti di loro l’unico menù possibile sulla propria tavola. Ma la cosa più inaccettabile del regime del "faraone" Mubarak sono le leggi d’emergenza che davano il potere all’esecutivo di violare ogni elementare diritto umano con forze di polizia brutali e pronte a tutto.

Gli Stati Uniti assistono impreparati agli eventi. Sembra che il presidente Obama sia alquanto irritato con la Cia che non avrebbe saputo prevedere quanto sarebbe accaduto in Tunisia e in Egitto. Molti osservatori sono angosciati al ricordo di quanto avvenne nel 1979 quando le folle si riversarono nelle piazze per rovesciare dal trono lo Scià di Persia Mohammad Reza Pahalavi, alleato degli Stati Uniti che si ritrovarono successivamente una repubblica islamica teocratica. "Fate scorte alimentari" ha detto agli americani il commentatore politico televisivo Glenn Beck, mentre dal Washington post si commenta: "Il sogno di un Egitto democratico si trasformerà in un incubo".

In effetti, nel futuro dell’Egitto non si può non tenere conto dell’incognita militare. Sin dal golpe militare del 1952 l’Egitto è stata una dittatura governata da e per i militari. I componenti del governo sono per il 50% militari mentre i potenti governatori sono membri dell’esercito in una percentuale altissima (80%).

Il rischio è che il potere possa rimanere concentrato nelle mani di un gruppo di generali che agiscono dietro le quinte e che si costruisca, non una reale democrazia, ma una democrazia illiberale e di facciata.

La speranza è che l’Europa e gli Stati Uniti, facendo tesoro della storia passata, possano aiutare l’Egitto e la Tunisia, non a passare da un leader ad un altro leader, ma a passare da un sistema autocratico corrotto e autoritario ad un sistema di libertà, giustizia sociale e di autodeterminazione. Domenico Ciardulli



Di : comiromanord
sabato 12 Febbraio 2011

 

   

Intervista con un attivista comunista anarchico in Piazza Libertà al Cairo Puoi dirci come ti chiami ed a quale movimento fai riferimento?

Mi chiamo Nidal Tahrir, faccio parte di Bandiera Nera, un piccolo gruppo comunista anarchico egiziano.

Tutto il mondo guarda all’Egitto con occhi ed azioni solidali. Tuttavia, a causa dei tagli ai collegamenti internet, le informazioni sono difficili. Ci puoi dire cosa è successo in Egitto nella scorsa settimana? Quali sono le prospettive?

La situazione in Egitto è ad un punto cruciale. Tutto è iniziato col giorno della rabbia contro il regime di Mubarak il 25 gennaio. Nessuno si aspettava che un appello lanciato da un gruppo informale, via Facebook, denominato "Siamo tutti Khalid Said" (Khalid Said era un giovane egiziano ucciso dalla polizia di Mubarak’ ad Alessandria la scorsa estate), facesse iniziare tutto questo. Quel martedì ci sono state grosse manifestazioni nelle strade di ogni città egiziana, poi mercoledì è iniziato il massacro. E’ iniziato con la repressione del sit-in a Piazza Tahrir nella notte di martedì scorso ed è continuato nei giorni seguenti, specialmente a Suez. Suez occupa un posto speciale nel cuore degli egiziani, perché fu il centro della resistenza contro i Sionisti nel 1956 e nel 1967. Lì si è combattuto contro le truppe di Sharon nella guerra israelo-egiziana. La polizia di Mubarak ha perpetrato il massacro con un bilancio di almeno 4 morti, 100 feriti, usando lacrimogeni, proiettili di gomma, lanciafiamme, strani liquidi chimici gialli spruzzati sulle persone. Venerdì è stato il Venerdì della Rabbia - Jumu’ah vuol dire venerdì in arabo, weekend di festa in Egitto e pure in molti paesi islamici. E’ un giorno sacro nell’Islam per le grandi preghiere di questo giorno, chiamate preghiere del Jumu’ah. Era stato previsto che dopo le preghiere di mezzogiorno partissero le manifestazioni, ma la polizia ha tentato di impedire i cortei con tutti i mezzi e con la violenza. Ci sono stati molti scontri al Cairo, (nel quartiere di Mattareyah, Cairo-est), in tutto l’Egitto, ma specialmente a Suez, Alessandria, Mahalla (sul delta, uno dei centri della classe operaia). Da mezzogiorno al tramonto, la gente ha marciato nella città, per confluire in Piazza Tahrir, chiedendo le dimissioni del regime di Mubarak, scandendo un solo slogan: "Il popolo chiede le vostre dimissioni". Al tramonto, alle 17.00, Mubarak ha imposto il coprifuoco ed ha portato l’esercito in città. Al coprifuoco è seguito un pianificato ritiro della polizia che ha lasciato il posto a criminali e malavitosi noti come Baltagayyah (significato simile a quello de “i bravi” manzoniani, ndt). La polizia aveva pianificato una evasione di criminali dalle prigioni di tutto l’Egitto per terrorizzare la gente. La polizia e l’esercito erano spariti dalle strade, le persone erano impaurite. Nei notiziari radio-TV e dei giornali sono girate notizie di vandalismi in diverse città egiziane, di ladri che sparavano sulle persone. Il popolo ha organizzato “comitati popolari” per rendere sicure le strade. Questa situazione faceva molto comodo al regime, dato che si diffondeva tra le persone il timore per l’instabilità del paese, ma è stato anche il punto di inizio per la costruzione di consigli operai.

Mercoledì 2 febbraio ci sono stati scontri tra oppositori e sostenitori di Mubarak. E’ andata proprio così? Chi sono i “sostenitori di Mubarak?" Che ricaduta hanno questi scontri sull’atteggiamento della classe lavoratrice egiziana?

E’ del tutto sbagliato parlare di scontri tra pro e anti-Mubarak. La manifestazione a favore di Mubarak era composta in gran parte da Baltagayyah e dalla polizia segreta, per attaccare i manifestanti in Piazza Tahrir. Ed è iniziata solo dopo il discorso di Mubarak di ieri, che seguiva poi al discorso di Obama. Personalmente penso che Mubarak si senta come un bue ferito che sta cercando di gettare sangue sui suoi aggressori. Vuole mettere a fuoco l’Egitto prima della sua caduta, facendo credere al popolo che lui è sinonimo di stabilità e sicurezza. Da questo punto di vista ha fatto anche dei progressi, formando una santa alleanza nazionale contro i manifestanti in Piazza Tahrir e contro la “Comune di Tahrir". Molte persone, specialmente i ceti medi, dicono che i manifestanti devono smetterla perchè l’Egitto è in fiamme e la carestia è alle porte, ma non c’è niente di vero, si tratta solo di un’esagerazione. Ogni rivoluzione incontra delle difficoltà e Mubarak sta usando la paura ed il terrore per durare più a lungo. E comunque credo che anche se – e sottolineo SE- i manifestanti fossero i responsabili di questa situazione, Mubarak deve andarsene, lui DEVE farlo per la sua inettitudine a gestire la situazione in corso.

Cosa accadrà nelle prossime settimane? Quanto peserà la posizione presa dagli USA?

Nessuno può sapere cosa accadrà domani o la prossima settimana. Mubarak è un idiota ostinato ed i media egiziani hanno lanciato la più grande campagna mediatica della loro storia per arginare la manifestazione prevista per il 4 febbraio. Si parla di un milione di persone in Piazza Tahrir, nel "Jumu’ah della salvezza". La posizione presa dagli USA peserà eccome. Mubarak è un traditore, capace di uccidere il suo popolo, ma non potrebbe mai dire di no ai suoi padroni.

Quale è stata la partecipazione degli anarchici su posizioni di classe? Chi sono i vostri alleati?

L’anarchismo in Egitto non ha molta influenza. Ci sono gli anarchici ma non sono ancora una corrente influente. Gli anarchici egiziani hanno preso parte tanto alle proteste quanto ai comitati popolari per difendere le strade dai malavitosi. Gli anarchici egiziani ripongono molte speranze in questi consigli popolari. I nostri alleati sono i marxisti, naturalmente. Non è tempo di dispute ideologiche – tutta la sinistra fa appello all’unità e si evitano le polemiche. In Egitto gli anarchici fanno parte della sinistra del paese.

Quali forme di solidarietà si possono costruire tra rivoluzionari egiziani e rivoluzionari in “occidente”? Cosa si può fare nell’immediato e cosa si dovrebbe fare sul lungo termine?

L’ostacolo maggiore per i rivoluzionari egiziani è il taglio delle comunicazioni. I rivoluzionari occidentali devono fare pressioni sui loro governi per impedire che il governo egiziano tagli le comunicazioni. Nessuno può dire cosa accadrà a lungo termine. Se la rivoluzione vince, i rivoluzionari dell’Occidente devono costruire solidarietà con i compagni egiziani contro un’attesa aggressione da parte dei USA ed Israele. Se la rivoluzione perde, ci sarà un massacro per tutti i rivoluzionari egiziani. "

Quali saranno le prime cose da fare, una volta che Mubarak si sarà dimesso? Se ne parla nel movimento per le strade? Cosa propongono i rivoluzionari anticapitalisti?

La cosa più importante ora, parlando delle rivendicazioni della piazza, è una nuova costituzione ed un governo provvisorio, e poi nuove elezioni. Su questo puntano molte componenti del movimento, specialmente i Fratelli Musulmani. I rivoluzionari anticapitalisti non sono poi tanti al Cairo – i comunisti, la sinistra democratica ed i trotzkysti chiedono le stesse cose su costituzione e nuove elezioni, ma per noi anarchici –anticapitalisti ma anche anti-statalisti- si tratterà di assicurare che i comitati popolari costituiti per proteggere e rendere sicure le strade, possano rafforzarsi e trasformarsi in veri consigli.

Vuoi dire qualcosa ai rivoluzionari all’estero?

Cari compagni in tutto il mondo, abbiamo bisogno di solidarietà, di una grande campagna di solidarietà e la rivoluzione egiziana vincerà!!

Audio Intervista: http://electricrnb.podomatic.com/entry/2011-02-03T00_56_54-08_00?x

Intervista pubblicata da Anarkismo.net

(traduzione a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali)

 

 Per il pane e la libertà

Tunisia, Algeria, Marocco, Egitto, Albania. L’altro Mediterraneo, quello
da dove partono le barche degli immigrati, a caccia di fortuna e di un
pizzico di libertà è in rivolta.
In Tunisia la fuga del dittatore è costata centinaia di morti. Purtroppo
la fine del sistema di potere, che per decenni ha schiacciato sotto un
tallone di ferro il paese, ancora non si vede. La rivolta continua.
Leggi il comunicato di solidarietà con le popolazioni in lotta emesso
dalla Commissione di Relazioni Internazionali della FAI.

A fianco della rivolta Tunisina
Nel 1999, l'ammiraglio Fulvio Martini, già dirigente del Servizio Segreto
Militare (SISMI) riferì alla Commissione Stragi del Parlamento italiano:
“Negli anni 1985-1987 organizzammo una specie di colpo di Stato in
Tunisia, mettendo il presidente Ben Ali a capo dello Stato, sostituendo
Bourguiba (esponente di primissimo piano nella lotta di indipendenza dal
colonialismo francese, NdR)”. Martini, inoltre, nel suo libro “Nome in
codice: Ulisse” precisò che le direttive venivano da Craxi e da Andreotti,
allora rispettivamente presidente del consiglio e ministro degli esteri.
Successivamente l'oppositore del regime dittatoriale di Ben Ali, Taoufik
Ben Brik ha denunciato come i governanti italiani abbiano rinforzato il
regime “rimpinguando i suoi forzieri e armando il suo braccio contro il
popolo”. Non a caso fu in Tunisia che il latitante Craxi si rifugiò,
riverito, protetto e seppellito, per sfuggire alle condanne inflittegli.

La rivolta e la lotta in corso in Tunisia ci appartengono, le sentiamo
come nostre, sia perché sono contro un regime dittatoriale, arrogante e
corrotto sia perchè nate per conquistare, non solo migliori condizioni di
vita, ma anche libertà di parola e di organizzazione. Le sosteniamo in
quanto espressione autonoma di esigenze popolari, sganciate da logiche di
compatibilità geopolitiche.
Mentre a destra e manca si denuncia il rischio dell'anarchia, e le classi
dirigenti tunisine, con i loro protettori europei, stanno cercando di
piegare ed ingabbiare la protesta popolare dentro un processo elettorale,
per disarmare la volontà di lotta delle masse; mentre si è costituito un
governo fantoccio, di fatto controllato dagli amici e colleghi di Ben Ali
per garantire la continuità del sistema di sfruttamento e di oppressione;
mentre il ministro Frattini si pronuncia per la “stabilità” dell'area (ove
“stabilità” sta per “ordine e disciplina”) è importante pronunciarsi e
manifestare a favore del tentativo di autoemancipazione popolare e
sostenere con forza la protesta e la rivolta in corso, che si sta
misurando con l'esercito e le bande armate fedeli all'ex presidente,
fuggito con più di una tonnellata di lingotti d'oro.

La lotta insurrezionale tunisina sta aprendo la strada ad altre lotte in
Algeria, Marocco ed Egitto, innescate dagli effetti disastrosi della crisi
sociale; da questa parte del Mediterraneo dobbiamo mobilitarci affinché
tali lotte e rivolte non vengano stroncate da nuove dittature, preparate e
sostenute dai governi europei, stroncando ogni possibile forma di
paternalismo e di razzismo tendenti a separare e a contrapporre quelli che
sono gli interessi comuni di ogni lavoratore e di ogni essere umano: la
dignità, la libertà, la giustizia sociale.

Commissione Relazioni Internazionali FAI

 

 

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