1968

 

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La classe operaia francese
scuote il capitalismo dalle fondamenta

(Tratto da Lotte Operaie bollettino sindacale dei Comunisti Internazionalisti - RIVOLUZIONE COMUNISTA -  n. 2 - giugno 1968)

 L'ondata di scioperi, che ha preso il via dai complessi industriali più importanti (Sud-Aviation, Renault, Rhadioceta, Citroen, ecc.) e che dal 15 maggio ha dilagato per tutta la Francia, generalizzandosi in modo travolgente, si è trasformata in un moto di rivolta spontaneo della classe operaia contro il sistema capitalista. A Parigi, a Lione, a Marsiglia; nei grandi come nei piccoli centri urbani, ovunque esistano fabbriche di una certa consistenza, gli operai hanno proceduto all'occupazione e ad innalzare bandiere rosse.

Il movimento prende il via con la manifestazione del 13 maggio. Gli operai del complesso industriale Sud-Aviation entrano in agitazione. Il 14 decidono, dopo un'assemblea interna, di occupare la fabbrica. Seguono l'esempio gli operai delle fabbriche Renault-Cléon e Renault-Flins. Poi è la volta degli operai di Renault-Billancourt. Tra il 15 e il 16 le fabbriche dei principali rami economici (metallurgia, industria automobilistica, energia ed elettricità, trasporti, magazzini generali, e via via) vengono occupate. Il 16 la vita economica francese è completamente paralizzata.

Lo sciopero si allarga fulmineamente. Si generalizza con impeto. Non ci sono ostacoli che tengano. Niente resiste. Tutte le barriere protettive, erette negli anni trascorsi contro lo sviluppo della lotta di classe, vengono travolte: dal preavviso al premio anti-sciopero; dalla minaccia armata del governo all'opera corrosiva di dissuasione dei dirigenti sindacali. La classe operaia si muove. La Francia si affaccia alla guerra civile.

Ovunque viene elaborato l'elenco delle richieste immediate. Le rivendicazioni comuni principali sono: 1º) salario minimo mensile a 1.000 Fr. (Pari a circa £ 125.000); 2º) riduzione della settimana lavorativa a 40 ore; 3°) pensione a 60 anni; 4º) libertà politiche e sindacali entro la fabbrica. Oltre a queste e ad altre richieste immediate, in parecchie fabbriche viene lanciata la parola d'ordine dell'"auto-gestione". Dappertutto si formano comitati di sciopero che assumono la direzione della lotta nell'azienda e creano qua e là i primi collegamenti con le aziende facenti capo allo stesso gruppo. Sono le prime forme spontanee di organizzazione di massa del proletariato che germogliano. Lo sviluppo ulteriore degli avvenimenti ci dirà quale ruolo essi sono stati capaci di svolgere e quale ruolo saranno in grado di esercitare nelle prossime più decisive giornate.

La prima domanda che sgorga spontanea di fronte ali avvenimenti in corso è: a cosa si deve questo movimento di massa tanto ampio? Dove esso ha attinto l'impulso necessario per generalizzarsi spontaneamente? Come ha potuto diffondersi da un punto all'altro della Francia in modo così rapido da sorprendere tutti? Perché è ormai chiaro che esso ha colto tutti di sorpresa ed ha dissolto altresì, in un sol colpo, tutti i miti riformistici, intessuti dalle più diverse correnti politiche e dalla sociologia pseudo-marxista, sulla classe operaia europea considerata rinunciataria o integrata al sistema. Oggi, date le necessità pratiche di azione immediata è inevitabile che la risposta alla domanda passi in secondo piano e con essa l'analisi delle cause oggettive degli avvenimenti stessi. Anche noi non possiamo dare momentaneamente qui alcuna risposta esauriente e dobbiamo limitarci a semplici accenni, salvo a svilupparli adeguatamente in seguito ed in altra sede.

Il giudizio più diffuso nell'ambiente rivoluzionario francese è che le agitazioni studentesche abbiano costituito la scintilla che ha fatto scoppiare l'incendio. Indubbiamente le agitazioni studentesche rappresentano un aspetto importante dell'attuale crisi sociale in Francia, e come tale hanno contribuito a rendere tesa una situazione di per se stessa già grave. Ma tale giudizio, oltre all'idea puramente formale della connessione prodottasi tra le agitazioni studentesche (1) e la scesa in lotta della classe operaia, null'altro ci dice sull'eccezionale attività da quest'ultima posta in essere. Per rendersi conto dell'attuale movimento di massa bisogna considerare le condizioni di vita delle masse lavoratrici, la situazione materiale della classe operaia di fronte all'accresciuto potere dei monopoli e alla concorrenza sfrenata fra le concentrazioni economiche.

Un'indagine statistica, compiuta alla fine del 1966 dall'apposito ufficio della Comunità Europea, rileva che i salari medi orari in Francia sono inferiori a quelli degli altri paesi del MEC, all'infuori dell'Italia. Ecco i dati elaborati da tale indagine:

Lussemburgo £. 750; Germania £ 720; Belgio £ 631; Paesi Bassi £. 595; Francia £ 505; Italia £ 431.

Anche l'orario settimanale di lavoro è uno dei più lunghi dei sei paesi facenti parte del MEC. Negli ultimi anni la disoccupazione, latente in alcuni rami di produzione, è diventata fluttuante, raggiungendo proporzioni notevoli. Il capitalismo monopolistico di Stato, lungi dall'attenuare le contraddizioni tipiche dello sviluppo capitalistico, le ha inasprite ulteriormente. È aumentato lo sfruttamento della forza-lavoro; mentre i salari sono rimasti, di fronte alla massa accresciuta dei bisogni, pressoché invariati quando non diminuiti di fatto a causa della compressione dovuta ai sempre maggiori gravami fiscali. Il caro-vita ed i crescenti squilibri regionali impongono alle masse lavoratrici sacrifici enormi. Il contrasto tra la concentrazione del capitale e le esigenze elementari delle masse lavoratrici diventa sempre più forte, acuito dall'aggravarsi della concorrenza fra i gruppi monopolistici. Nelle attuali condizioni la classe operaia è spinta a scendere in lotta e a rivoltarsi contro il dominio dell'oligarchia finanziaria. Il tipo delle rivendicazioni formulate fin dal primo momento (nessun "premio di produzione", ma salario minimo a 1.000 Fr.) è altamente indicativo, tanto della gravità di queste condizioni, quanto della loro estensione alla stragrande maggioranza di lavoratori. Il movimento in atto trae quindi una spinta profonda, che cozza fortemente col quadro dei rapporti capitalistici, in quanto le esigenze fisiche ed intellettuali della classe operaia e degli altri strati di lavoratori non possono essere soddisfatte mantenendo in piedi la produzione di merci, la produzione per il profitto. Da qui l'imponenza del movimento, l'asprezza della lotta e lo sforzo profondo, ancora informe, di trovare lo sbocco sul terreno politico, via di accesso alla possibilità di una organizzazione sociale della produzione.

In questo momento (29 maggio) in Francia di fronte al potere armato dei capitalisti si pone un potere di fatto degli operai sulle fabbriche, sui mezzi di trasporto, sui magazzini; in una parola su tutta l'intelaiatura economica del paese. Due forme di potere molto diverse tra di loro ed in netto contrasto coesistono provvisoriamente. Tale coesistenza è così momentanea che deve precipitare da un giorno all'altro. O gli operai riusciranno con la loro compattezza, con la loro decisione e volontà di lotta ad organizzare attacchi contro lo Stato dei capitalisti, assicurandosi anche in tal modo i notevoli vantaggi economici che frattanto riusciranno a strappare; o costoro con la forza delle armi ristabiliranno l'ordine capitalistico nelle fabbriche e nel paese.

Ma ci si può domandare: la classe operaia è disposta a compiere tale lotta? Che 1a classe operaia sia disposta a rovesciare il governo gollista e con esso lo Stato capitalista è dimostrato dagli avvenimenti stessi. Basta citare, a parte la sommossa della notte tra il 24 e il 25 e gli altri, episodi di guerra civile, come il 27 mattina gli operai della Renault e di seguito a loro quelli degli altri complessi, respingevano all'unanimità, in blocco, l'accordo generale (2) elaborato dopo 28 ore di trattative consecutive dal padronato, dal rappresentante del governo e dagli esponenti della Confederazione Generale dei Lavoratori (C.G.T.). Sulla decisa volontà di lotta dei lavoratori non ci possono essere dubbi. Lo stesso segretario della C.G.T., G. Sèguy, ha dovuto dichiarare pubblicamente che lo sciopero è scoppiato spontaneamente e che la segreteria non "aveva dato alcun ordine di sciopero generale". Sono invece il Partito Comunista Francese (P.C.F.) e la C.G.T. che frenano il movimento e che tentano di esaurirlo nel quadro di pure rivendicazioni economiche. Sono essi che lavorano, non per affondare lo Stato capitalista, ma per salvarlo dalla tempesta.

Andrè Barjonet, da 20 anni segretario del centro studi economici della C.G.T., il 23 maggio si dimette dal suo incarico dichiarando in una lettera indirizzata al segretario Seguy: "... nel momento in cui milioni di lavoratori, studenti e francesi di tutte le condizioni partecipano al più potente movimento popolare che si sia mai avuto nel nostro paese, io proclamo la mia convinzione che sia possibile andare molto più avanti, avanzare verso il socialismo e come minimo abbattere il regime gollista". Sviluppando alcuni giorni dopo le ragioni delle sue dimissioni egli aggiunge: "... non solo ho la convinzione ma la certezza che la direzione dalla CGT non ha affatto l'intenzione di condurre questo formidabile movimento in una direzione suscettibile di apportare mutamenti politici nella società ...". È chiaro: la centrale della CGT non solo intende bloccare ogni sviluppo politico dello sciopero, ma non intende affatto mettere in pericolo lo stesso governo gollista. Barjonet, che per 20 anni è stato animatore di questa linea politica opportunista, non può certamente commuovere nessuno; ma non per questo le sue dichiarazioni perdono di valore. Il P.C.F. e la CGT sabotano la lotta, gli sforzi generosi della classe operaia francese. Mentre operai e studenti combattono sulle piazze o davanti alle fabbriche per far fronte alla violenza dei reparti polizieschi di repressione il sedicente Partito Comunista francese non fa che rinnovare appelli all'ordine, alla calma, al sangue freddo; e non fa che calunniare vigliaccamente i migliori elementi della classe operaia, i più coraggiosi esponenti dei gruppi studenteschi, chiamandoli provocatori, irresponsabili.

Jean Pierre Vigier e Serge Depaquit, fino a ieri iscritti al P.C.F. ed ora espulsi, riconoscono che, mentre la congiuntura politica attuale "può sfociare in una situazione rivoluzionaria, la tattica del P.C. mira a canalizzare le rivendicazioni al livello economico e a rompere l'unità tra lavoratori e studenti, il che costituisce un servizio reso al gollismo". In effetti il PCF è al servizio del gollismo: tale è il giudizio inappellabile degli avvenimenti. Tra di esso e la classe operaia passa un solco incolmabile. Dopo mezzo mese di occupazione delle fabbriche il proletariato francese, nonostante l'opera di disgregazione e di pacificazione sviluppata dal PCF e dagli altri partiti socialisti, resta sulla breccia, compatto, pronto ad ingaggiare battaglie decisive. I prossimi giorni ci diranno a quali sviluppi politici sfocerà questa dimostrata volontà di rivolta degli operai e degli studenti rivoluzionari; e quale danno arrecherà ad essa l'azione controrivoluzionaria di questi partiti.

Quali stimoli pratici e quali conclusioni politiche debbono trarre i proletari italiani dagli avvenimenti in corso? Nell'esempio degli operai francesi, debbono attingere l'incitamento necessario per generalizzare le agitazioni, per trasformare gli scioperi in mezzi di attacco contro lo Stato capitalista, per fare delle lotte economiche una palestra di lotta rivoluzionaria: una preparazione generale all'insurrezione. Meglio di qualsiasi forma di propaganda i fatti stessi hanno messo a nudo il legame profondo che unisce i partiti social-comunisti di tutto il mondo all'organizzazione capitalistica della società. Gli operai italiani, non debbono più nutrire alcun dubbio sulla natura controrivoluzionaria di questi partiti. Debbono ripudiare, irrevocabilmente, PCI - PSIUP - PSU e debbono per converso stringersi, in modo deciso ed incondizionato agli internazionalisti. La situazione storica non ammette incertezze. Qualunque sia lo sviluppo degli avvenimenti il moto di rivolta del proletariato francese apre alla lotta di classe in Europa un periodo storico nuovo, una fase nuova, risolutiva, che pone all'ordine del giorno la rivoluzione comunista.

 (1) Durante i mesi di marzo e aprile la Francia ho visto svilupparsi un vasto movimento di agitazioni studentesche. A parte la moderata UNEF (Unione nazionale degli studenti francesi), fra i diversi gruppi di studenti spicca per il suo radicalismo e per il suo tentativo di collegarsi alla classe operaia il "movimento del 22 marzo".

(2) L'accordo stabilisce fra l'altro: l'aumento dei salari del 10%, di cui il 7% a partire dal 1° giugno, i1 3% a partire da ottobre; portando inoltre l'aumento dal salario minimo garantito da 2,22 a 3 Fr.

(Continua)

In Francia
È solo l'inizio. La lotta continua

Tratto da Lotte Operaie bollettino sindacale dei Comunisti Internazionalisti - RIVOLUZIONE COMUNISTA n. 3-4 luglio-agosto 1968

 Ritornando al lavoro il 18 giugno, dopo 33 giorni consecutivi di sciopero, gli operai della Renault-Flins sono rientrati in fabbrica con bandiere rosse e cartelli al grido: "È soltanto l'inizio, la lotta continua" e "C.G.T. tradimento". L'esito della votazione sulla continuazione o meno dello sciopero era stato il più contrastato fra quelli espressi dalle altre aziende di cui si compone la Renault. La percentuale degli operai favorevoli alla ripresa del lavoro è stata infatti: a Le Mans del 79%; a Billancourt del 78%; a Choisy-Le-Roi del 70%; a Flins del 58%. Solo a Sandouville la ripresa è stata approvata per alzata di mano.

Col ritorno al lavoro degli operai della Renault lo stesso fronte di lotta dei metalmeccanici si restringe ulteriormente. Restano in agitazione le altre due importanti industrie automobilistiche (Citroen, Peugeot) e una numerosa schiera di industrie metallurgiche, che occupano in tutto circa 300.000 dipendenti. A tutt'oggi (21 giugno) sono sempre in lotta i portuali di Marsiglia e gli operai dei cantieri navali di Saint Nazaire. Si tratta ormai di pochi centri di resistenza sindacale.

Il movimento di rivolta, iniziato il 13 maggio con la discesa per le strade di Parigi di un milione di manifestanti fra lavoratori, e studenti, dopo violente esplosioni e sussulti ripiega su se stesso, battuto, ma non disperso. La mobilitazione in massa del proletariato, che per imponenza ed ampiezza non trova precedenti nella storia del movimento operaio di questo paese (in suo confronto il grandioso sciopero del 1936 resta un avvenimento minore) tranne che nella Comune di Parigi; questa mobilitazione in massa, ripetiamo, avvenuta senza la presenza e senza la direzione di un idoneo partito rivoluzionario non ha potuto dunque travolgere il regime gollista ed affondare il capitalismo. Li ha soltanto scossi profondamente; li ha fatti traballare tremendamente, riempiendo di paura la borghesia francese, europea e mondiale; preavvertendo l'uragano che si scatenerà in Europa.

Generalizzandosi e radicalizzandosi, la lotta ha messo in luce ancora una volta, benché in maniera incompiuta causa la natura spontanea del movimento, le forme principali del processo rivoluzionario: l'iniziale indecisione dei gruppi dominanti di fronte alle masse in agitazione, il superamento provvisorio di fronte al pericolo comune delle loro divisioni interne, il successivo passaggio alla reazione furibonda; il ruolo insostituibile nella salvezza dell'ordine borghese dei partiti sedicenti operai (P.S.U., P.C.F.); l'immenso potenziale di forza delle masse in movimento, l'abnegazione e la resistenza tenace degli strati più combattivi della classe operaia (esempio: i metallurgici); l'impiego dei metodi di repressione statale più brutali (uso di gas tossici, torture) accompagnato dall'azione terroristica dei "comitati di difesa della Repubblica" (1); l'impossibilità da parte del proletariato di battere la classe dominante senza un partito rivoluzionario che diriga la lotta armata ed organizzi l'insurrezione; la repressione dei gruppi e delle organizzazioni rivoluzionarie nel caso di sconfitta. Gli avvenimenti di un mese e mezzo hanno così accumulato una massa tale di materiali e di esperienze da valere un intero periodo storico. È logico che su questi avvenimenti si versino oggi, da ogni parte, fiumi di inchiostro. E, più che logico, è necessario che i comunisti rivoluzionari vi riflettano attentamente per trarne insegnamenti utili alle lotte immediate e future.

 "Una volta ancora quel che accade in Francia è esemplare" pare abbia detto De Gaulle. La battuta non è solo un motto di spirito. Il moto di maggio-giugno del proletariato francese apre il processo rivoluzionario in Europa. Potrà mai l'oligarchia finanziaria tedesca, quella italiana, belga, ecc., impedire lo scoppio della tempesta che si prepara? Oggi l'occhio pensoso rivolto a Parigi da tutti i centri del capitalismo è un interrogativo atroce sul destino di questo modo di produzione, sulla sorte della società del profitto. Chi guarda, senza la superficialità interessata, nel moto operaio francese, nelle barricate parigine non trova una ventata di follia anarchica, ma la rivolta, benché ancora informe, delle masse sfruttate contro l'oppressione capitalistica. Non vede in essa il frutto degli "errori" del gollismo, il quale ha costituito per dieci anni il portabandiera riconosciuto dei trusts monopolistici europei nella loro sorda lotta contro i rivali statunitensi e giapponesi, ma l'incontenibile sollevamento delle masse lavoratrici costrette a vivere in condizioni di aggravato disagio in conseguenza del crescente processo di monopolizzazione della economia. In ciò l'Italia vale la Francia. La Francia la Germania, ecc.. Lo "spettro del comunismo" si aggira dunque nuovamente sul vecchio continente: la levata improvvisa del proletariato francese è il canto del gallo della rivoluzione europea.

La lotta continua! È la consegna degli operai più combattivi. La lotta continuerà, non vi può essere alcun dubbio. La ripresa del lavoro nella maggior parte delle fabbriche non è altro che una tregua provvisoria, una fase di assestamento in vista di una ripresa futura in grande. Le conseguenze economiche del lungo periodo di agitazione non saranno facilmente digeribili dal capitalismo francese, che incontrerà sugli aumenti salariali ottenuti dalla classe operaia una causa ulteriore di inasprimento delle proprie contraddizioni. Naturalmente la lotta non potrà continuare nella forma dello sciopero generalizzato, ma in forme nuove e attraverso un serio ripensamento sull'organizzazione del partito rivoluzionario e sui mezzi pratici per combattere i partiti opportunisti.

Il P.C.F. esce dagli avvenimenti con il suo vero volto: quello di campione controrivoluzionario. Senza la sua opera di contenimento (2) e di pacificazione il regime gollista non avrebbe potuto resistere: sarebbe stato travolto fin dall'inizio del movimento, il 13 maggio (3). Ma anche i gruppi estremisti e le organizzazioni rivoluzionarie ne escono ridimensionati. Spontaneisti, situazionisti, anarco-sindacalisti, col loro rifiuto della politica e della lotta di partito; coll'appello sconsiderato all'autodeterminazione dell'individuo, hanno rivelato l'estrema impotenza della propria azione, scoperto il fondo piccolo-borghese della loro agitazione. I raggruppamenti politici trotzkisti, che sono stati molto attivi, hanno dimostrato da parte loro, ancora una volta, la deficienza costituzionale della loro tattica frontista ed entrista. Il fronte con l'U.N.E.F. (Unione Nazionale Studenti Francesi) è stato un vero pateracchio, in ragione del carattere riformistico di questa associazione. L'unione operai-studenti può invece essere e deve diventare un fronte di lotta rivoluzionaria, ma solo se ingloba gli studenti autenticamente comunisti. L'entrismo nei partiti social-comunisti, da vecchio miraggio, è diventato un suicidio politico. Come gridare al loro tradimento più che un'ingenuità è oggi un bluff. Il P.C.F. ed i partiti confratelli da svariati decenni sono partiti nazionalisti. Essi vanno perciò combattuti, non solo sul piano ideologico, ma anche e soprattutto sul terreno politico.

Ci vorranno ancora, probabilmente, altre rivolte ed altri tentativi insurrezionali, perché il marxismo rivoluzionario si imponga sulle suggestioni operaiste e sui tentennamenti dei marxisti a metà. Tuttavia gli avvenimenti francesi hanno dato un formidabile impulso al processo di riaccostamento delle diverse tendenze operaie al marxismo rivoluzionario. Il principio della necessità che la lotta di classe diventi lotta di partito e miri alla conquista del potere è ora oggetto di riflessione da parte degli stessi gruppi spontanei formatisi solo di recente; e degli stessi gruppi operaisti tradizionalmente ostili all'organizzazione di partito e alla direzione partitica delle lette. Essi hanno dato inoltre un duro colpo a tutti quei pretesi marxisti ortodossi (4), i quali impiegano le più belle energie nelle discussioni teoriche, sulla necessità del partito, non si accorgono in pratica di quanto passa sotto i loro propri occhi stessi, e sostituiscono i loro doveri pratici con sciocche elucubrazioni intellettuali o con gratuiti insulti verso coloro i quali hanno dato prova di coraggio e di altruismo.

La lotta continua. Non solo, ma continua ad un livello superiore. Il movimento reale ha risvegliato infatti alla coscienza politica di classe una parte maggiore del proletariato.

 (1) I "Comitati di difesa della Repubblica" si sono costituiti il 30 maggio. A capo di essi è stato posto l'ex ministro degli interni Roger Frey molto competente in materia di repressione. Sono composti da tutti i nostalgici del colonialismo francese, membri dell'O.A.S., fascisti, ecc.

(2) Seguy segretario della C.G.T. ha definito "folclore" la decisione degli operai e degli studenti rivoluzionari di porre all'ordine del giorno la questione del potere. Ma gli operai hanno risposto che "folclore" erano gli accordi di "rue Grenelle"; approvati dalla centrale il 27 maggio per fare cessare l'occupazione delle fabbriche.

(3) Dato il carattere convulsivo dell'attuale periodo storico il P.C.F., come pure gli altri partiti sedicenti comunisti, non potrà più sfuggire agli effetti corrosivi che il ruolo di boia esercita sulla propria organizzazione interna. Sicché la forma della futura esistenza di questo partito dovrà sempre più avvicinarsi, fino a quando non verrà soppresso dalla rivoluzione, a quella di un organismo in perenne crisi interna.

(4) Come i Programmisti francesi, rimasti completamente passivi; e che nel tentativo di trovare negli avvenimenti la conferma delle loro idee politiche, recitano per giunta un rosario di banalità. Essi trovano infatti: 1º) che il capitalismo non è invincibile; 2º) che il proletariato esiste ed agisce; 3°) che esso dove ricercare il suo partito di classe. Così mentre De Gaulle lancia il suo progetto di un sistema sociale non capitalista e non comunista, basato sull'assurda quanto rancida idea della "partecipazione", questi rivoluzionari non plus ultra vengono a salmodiare con aria solenne che il capitalismo non è invincibile!

(Continua)

   Edizione a cura di: RIVOLUZIONE COMUNISTA
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1 - Le lotte operaie 1968-71
e l'internazionalismo militante



Gli anni che vanno dal 1968 al 1971, visti in relazione al movimento
operaio, costituiscono un periodo unitario. Anche se questo periodo può
essere suddiviso in più fasi, questi quattro anni rappresentano,
tuttavia, un ciclo unitario di lotte. Chiamiamo questo periodo: il
risveglio proletario. Lo definiamo così perché è a partire dal 1968 che
il proletariato italiano incomincia a scuotersi, sistematicamente,
dalla soggezione padronale; a sottrarsi alla tutela sindacale; a
riprendere l'iniziativa della lotta anti-capitalistica; a riconquistare
la propria autonomia di classe.

Questo risveglio, bisogna aggiungere, non è un fenomeno esclusivamente
italiano. È un fenomeno più vasto. Ha dimensioni europee e, in
definitiva, mondiali. La sveglia venne data dal maggio francese nel
1968. Il dicembre polacco ne fu il seguito due anni dopo, nel 1970. Le
lotte dei neri negli Stati Uniti; le insurrezioni nel Bengala e a
Ceylon, durante il 1971, ne costituiscono un momento ulteriore di
sviluppo. In qualunque modo si sono provvisoriamente conclusi, in tutto
o in parte, questi movimenti di lotta, ciò che conta effettivamente è
la loro tendenza storica. E la tendenza inconfondibile, che affiora
dalla marcia degli avvenimenti, è che questi movimenti rappresentano,
non segni di una normale evoluzione nazionale, ma bagliori di una
ripresa generale della lotta di classe.

Sulla portata sociale e sul significato politico di questo periodo di
lotte vengono dette le cose più disparate. Per i partiti riformisti -
PCI, PSI, PSIUP - e le confederazioni sindacali - CGIL, CISL, UIL - le
lotte di questo quadriennio costituiscono un fattore di crescita nello
sviluppo democratico del paese e sarebbero, quindi, un elemento
propulsore nel funzionamento del sistema. Per i movimenti spontaneisti
- ci riferiamo a quelli che sono stati per alcuni anni sull'onda degli
avvenimenti come Potere Operaio e Lotta Continua - le lotte operaie
hanno rotto il ciclo capitalistico, inceppando il meccanismo
dell'accumulazione. Di conseguenza, secondo costoro, esse porterebbero
il capitale alla sua fine. Tra queste due posizioni estreme, o meglio
tra la teoria della funzione fisiologica delle lotte operaie e quella
del collasso, si accavallano tante altre teorie quanti sono,
pressappoco, i raggruppamenti extra-parlamentari. In questo stato di
cose non c'é chi non veda la necessità, sul piano strategico, di una
valutazione corretta del valore effettivo di queste lotte. In sostanza
si tratta di stabilire qual'è l'essenza del periodo attuale: se siamo
in un periodo rivoluzionario o se viviamo in un periodo
controrivoluzionario, o in cos'altro di diverso.

In merito a ciò, sulla nostra stampa esiste un vasto ed aggiornato
materiale analitico. Perciò in questo scritto non analizziamo a fondo
la questione; ci limitiamo, soltanto, ad uno sguardo d'insieme. E, nel
far questo, teniamo a precisare, prima di tutto, e in linea di
principio, qual'è il ruolo giuocato realmente dalle lotte operaie. La
lotta operaia è la forma più elementare di lotta di classe. È quella
che gli operai fanno quotidianamente contro gli sfruttatori capitalisti
o padroni. Comunque varii il contenuto delle rivendicazioni avanzate
con questa forma di lotta essa di per sé stessa non è, né fisiologica
al sistema, né distruttiva del sistema. È un conflitto sociale, più o
meno grave ed acuto a seconda dei casi, che si svolge e si ricompone,
stabilmente, nell'ambito dei rapporti esistenti. Finché le lotte
operaie restano confinate entro limiti economici, restano assorbibili
dal capitalismo. Solo quando esse sono legate ad una autonoma
prospettiva politica diventano, invece, un elemento di instabilità del
sistema. Tuttavia la circostanza che le lotte operaie sono assorbibili
dal capitalismo non significa che esse sono funzionali al suo sviluppo.
Ogni lotta operaia, anche la più modesta, pone sempre problemi nuovi al
capitale; il quale per superarli è costretto ad agire sulla propria
stessa base e, quindi a generare problemi più vasti di quelli risolti.
Pertanto la lotta operaia rimane sempre, in ogni caso, una
manifestazione di antagonismo sociale. Che, alla fine, le lotte operaie
si traducano in uno stimolo per l'apparato industriale; o che
diventino, al contrario, un punto di partenza per un più vasto
movimento di lotta, tutto questo dipende in ultima analisi da due
condizioni principali: primo dai rapporti di forza tra le classi;
secondo dal livello politico del proletariato. Comunque, perché le
lotte operaie incidano profondamente sui rapporti sociali è
indispensabile che esse siano collegate a una strategia rivoluzionaria.
Fatta questa chiarificazione di principio, passiamo a stabilire qual è,
in concreto, la portata di questo ciclo di lotte.

Le lotte operaie del periodo 1968-71 sono, al contempo, un'espressione
e un fattore della crisi di regime che attraversa la borghesia
italiana. Quindi, per valutarne appieno la portata, bisogna
considerarle nel quadro degli sviluppi di questa crisi e come elemento
dinamico di essa. La crisi di regime, di cui si parla qui, non va
confusa con la crisi economica. La crisi di regime è la crisi politica
l'impotenza attuale del potere borghese a sanare i conflitti politico-
sociali. Questa crisi si è aperta nel 1968, al culmine di un lungo
periodo di espansione capitalistica come prodotto delle contraddizioni
economiche e sociali generate da questo sviluppo. Ecco a grandi linee
in che modo si è arrivato a ciò. Dal 1945 il capitalismo italiano ha
attraversato, essenzialmente, tre distinti periodi di sviluppo. Il
primo è il periodo della ricostruzione che va, grosso modo, dalla fine
della guerra al 1950 circa. Il secondo è il periodo della espansione
estensiva che va dal 1950 al 1962. Il terzo è quello dell'espansione
intensiva che parte dalla crisi economica del 1963/64 e va fino al
1969. Col 1970-71 è iniziato un periodo di stagnazione e di crisi, che
pone all'industria italiana problemi acuti di riorganizzazione tecnica
su larga scala, all'interno ed all'estero. I tratti economici
fondamentali dell'intero stadio di sviluppo sono stati: l'espansione
dei monopoli la rapida crescita dell'industria col progressivo
spopolamento delle campagne; il rigonfiamento del settore terziario; la
crescente compenetrazione internazionale del capitale nel quadro di un
continuo flusso emigratorio. Ne sono derivate profonde modificazioni
sociali. Le principali sono: la borghesia monopolistica si è ristretta
a un pugno di grandi finanzieri accentranti nelle loro mani le leve
economiche; il proletariato è cresciuto numericamente e con un ritmo di
concentramento maggiore della crescita; la media e la piccola-borghesia
imprenditrici sono state, via via, ridimensionate; si sono andati
dilatando i ceti medi e la piccola borghesia parassitari. L'espansione
dei monopoli ha così portato a un aggravamento delle condizioni di vita
e di lavoro delle masse sfruttate. Gli aspetti più tipici di questo
portato, propri del terzo periodo, sono: la costante riduzione delle
forze-lavoro occupate con l'espulsione delle donne dalla produzione e
l'intensificazione dei ritmi di lavoro; risultati entrambi dovuti alla
razionalizzazione aziendale che caratterizza lo sviluppo intensivo.
Questi aspetti toccano il culmine nel 1968. Nella primavera del 1968
scoppiano i primi scioperi spontanei. Masse crescenti di lavoratori
scendono in lotta per ribellarsi contro il peggioramento delle loro
condizioni di vita, dentro e fuori della fabbrica. Le prime grandi
lotte investono, in tal modo, il salario e le condizioni di lavoro. Uno
dopo l'altro grandi e piccoli complessi industriali vengono bloccati
dagli scioperi. Gli scioperi spontanei dilagano anche nelle cosiddette
fabbriche difficili, in quelle cioè ove da molti anni regnava la pace
sociale. Dal 1968 e per tutto il 1969 fino ai primi mesi del 1970 la
marea delle lotte operaie è montante. Sotto l'impulso di rivendicazioni
ugualitarie la partecipazione alle lotte diventa generale. La punta
avanzata del movimento è costituita dagli operai di linea; da quegli
operai che il più recente sviluppo capitalistico ha svuotato di ogni
abilità professionale rendendoli intercambiabili. Per questo i reparti
più combattivi vengono animati dagli elementi più giovani. Nel clima di
una crescente combattività nascono nuovi strumenti di attività operaia;
assemblee, delegati, comitati di agitazione. E si ha, quindi, un certo
sviluppo della coscienza politica.

L'ondata di scioperi giunge quando nelle scuole dilagano, da parecchi
mesi, le agitazioni studentesche. Il quadro politico, già visibilmente
instabile, subisce così uno scossone. Lo sviluppo degli scioperi agisce
come una doccia fredda sul connubio monopoli dinamici aristocrazia
operaia, dissolvendo il disegno del riformismo governativo mirante ad
uno sviluppo pianificato dell'economia col beneplacito della classe
operaia. In questo modo i contrasti tra la fazione riformista della
borghesia e la fazione autoritaria si fanno acuti e la crisi di regime
entra in una fase viva. Non riuscendo i Sindacati a contenere entro gli
argini della tollerabilità industriale la marea di scioperi, governo e
padronato scatenano i loro apparati repressivi. Sugli operai in lotta
piovono arresti, denunce, rappresaglie. Nonostante l'impiego
sistematico dei più vari strumenti di intimidazione, governo e padroni
non riescono nel loro tentativo di stroncare la combattività operaia.
Ottengono l'effetto opposto: la radicalizzazione delle lotte. Infatti,
rinnovati i maggiori contratti di lavoro, le lotte non cessano;
assumono nuove forme e contenuti più incisivi. Gli scioperi di massa
dei due anni prima (1968-69) si trasformano nel 1970 in guerriglia
industriale. Nei maggiori complessi vengono attuati frequentemente: il
salto della scocca, l'autolimitazione dei ritmi, il blocco delle merci.
L'autorità padronale è messa, di fatto, in discussione. Sui luoghi di
lavoro si instaura un clima di tensione e di insubordinazione.

I sindacati contavano, una volta conclusi i contratti, di ricondurre
il movimento operaio nello spirito di una rinnovata collaborazione di
classe. Ma i loro calcoli si sono dimostrati sbagliati. Essi hanno
frainteso lo stato d'animo delle masse e la natura della crisi attuale.
Perciò, quando nel 1970 si mettono a strombazzare la strategia delle
riforme (cioè a dire l'alleanza operai e industriali contro rendita e
speculazione), promuovendo una tornata di scioperi per le riforme
nell'intento di alleggerire la tensione regnante nelle fabbriche, essi
ottengono risultati o nulli o controproducenti. Da un canto la tensione
permane nelle fabbriche. Dall'altro, invece di risolverli,
contribuiscono ad aggravare gli squilibri tra Nord e Sud, ai danni del
Mezzogiorno. Il che genera nuovi attriti all'interno delle stesse
confederazioni sindacali. Man mano, però, anche la strategia delle
riforme salta nelle mani ai Sindacati. La stagnazione della produzione
industriale, che nel corso del 1970 non accenna a risalire, rende
sempre più impellente la ripresa produttiva; ripresa che non può
avvenire senza un aumento dello sfruttamento operaio. I Sindacati non
esitano a far propria questa esigenza borghese e a fare del rilancio
economico il loro cavallo di battaglia. Così, quel distacco tra
Sindacati e masse, che gli scioperi spontanei del 1968 avevano messo
trasparentemente in luce, è andato via via crescendo, anche se con fasi
alterne. Un numero crescente di operai guarda con sospetto le centrali
sindacali e ciò indipendentemente dalla propaganda rivoluzionaria.

Col 1971 tutti i fattori di tensione sociale, economici e politici,
operanti negli anni precedenti si acutizzano. La crisi di regime,
aggravata dall'andamento recessivo dell'economia, passa a un grado
maggiore di acutezza. Inizia una fase più aspra nei rapporti operai-
padroni. I padroni cercano di far fronte alla necessità di
riorganizzare tecnicamente l'industria, necessità acuita dallo sviluppo
della concorrenza e della crisi, attuando ampi processi di
ridimensionamento della manodopera occupata, introducendo metodi di
sfruttamento più intensivi . Gli operai sono così costretti a dure
lotte per resistere a questi processi e contrastare la pressione del
capitale. Questa fase è in pieno svolgimento. E i contrasti sociali di
cui essa è piena, si combattono giorno per giorno senza aspettare alcun
scadenziario. Possiamo dire che è dall'esito di questa fase che
dipenderà, praticamente, l'epilogo del ciclo di lotte apertosi nel
1969. O la classe operaia saprà uscire da questa fase con un fermo
orientamento rivoluzionario, con una rafforzata organizzazione delle
forze d'avanguardia; o il capitale riorganizzato la piegherà ancora una
volta, per un certo periodo di tempo, alle proprie esigenze di
sopravvivenza e di sviluppo.

Riassumendo. Le lotte operaie del periodo 1969-71 rappresentano il
momento d'avvio del processo di ripresa proletaria. Non abbiamo, certo,
la rivoluzione alle porte. Ma nemmeno predomina la controrivoluzione.
La borghesia attraversa la sua prima grave crisi di regime dal
dopoguerra. Sempre più insicura del proprio avvenire, essa è
profondamente suddivisa al proprio interno. Gli stessi partiti
riformisti sono costretti a ricorrere, sempre più spesso, alla violenza
dello Stato per difendere la propria esistenza organizzata dagli
attacchi improvvisi delle masse oppresse. La situazione è, dunque, di
crisi. Crisi di regime ancora; non crisi rivoluzionaria. Ci stiamo
appena incamminando sulla strada della rivoluzione. Questo il
significato politico delle lotte operaie dei quattro anni trascorsi.

Se ora rivediamo le due teorie sopra menzionate, la teoria fisiologica
e quella del collasso, ci accorgiamo che queste hanno un comune vizio
ideologico, che gli estremi si toccano. I riformisti riducono le lotte
operaie a espressioni dello sviluppo capitalistico e, in fondo non
concepiscono altra via di sviluppo sociale all'infuori di quella
capitalistica (o democratica come essi la chiamano). Gli spontaneisti
ingigantiscono la portata delle lotte operaie, immaginando che il
capitalismo crolli sotto la semplice pressione generalizzata degli
operai. Il vizio ideologico comune di queste due posizioni estreme
consiste nel fatto che esse derivano da una concezione borghese della
lotta di classe. Nei primi oggettivista o meccanicista. Nei secondi
soggettivista.

All'oggettivismo economico dei riformisti, gli spontaneisti
contrappongono il soggettivismo organico, la costante ribellione
operaia all'organizzazione capitalistica del lavoro; o, il che è lo
stesso, l'insubordinazione del capitale variabile (forza-lavoro) nei
confronti del capitale costante (macchinario). Questa contrapposizione
è senza sbocco proletario. È una specie di vicolo cieco, da cui non c'é
via di uscita per le masse operaie. Perciò, alla fine, essa conferma il
termine negato.

La classe operaia ha fatto sì sentire la sua voce con gli scioperi
spontanei. Col proprio spontaneismo, con lo spontaneismo degli
spontaneisti, ha messo in crisi il controllo sindacale. Ma lo
spontaneismo non poteva sostituirsi a questo controllo. Così i
burocrati sindacali, che in un primo tempo subirono uno scossone dallo
spontaneismo anti-sindacale, alla fine se ne avvantaggiarono,
assorbendolo come uno schiaffo salutare. Per sostituire la direzione
riformista dei Sindacati con una direzione rivoluzionaria non basta il
ripudio della burocrazia sindacale o l'autorganizzazione operaia.
Occorre l'organizzazione politica del proletariato, il partito
rivoluzionario che ne coordini il movimento e ne diriga le lotte.

Dal 1968 sono stati fatti molti passi avanti nella comprensione di
questa necessità. Da allora c'è stata una progressiva presa di
coscienza del ruolo insostituibile dell'organizzazione d'avanguardia.
Il franamento dello spontaneismo, dopo il fiasco della contestazione
studentesca e del maoismo, sgombra il cammino a questa presa di
coscienza da un elemento ritardatore. Oggi la gioventù operaia si
orienta in modo più deciso di prima, verso le posizioni rivoluzionarie.
Guarda con interesse alle idee di Lenin sul partito. Simpatizza con
certe nostre indicazioni pratiche tuttavia c'è chi in nome del
leninismo è ancora convinto, dopo l'esperienza degli ultimi quattro
anni, che il problema dello sviluppo rivoluzionario risieda nella
comprensione della natura del revisionismo; nel sapere cioé di che
razza sono i partiti riformisti. Chi la pensa così propone, in
sostanza, di ritornare alla coscienza politica anteriore al 1968. Noi
non contestiamo a nessuno la libertà di dire quello che gli pare e
piace; ma non ci si vengano a spacciare i problemi della propria
incerta coscienza per leninismo o analisi leninista. Gli operai
capiscono molto bene che i riformisti sono opportunisti e alla resa dei
conti, controrivoluzionari. Questo l'hanno visto, e lo vedono sempre
più chiaramente, da loro stessi nelle fabbriche e fuori delle
fabbriche. Quello che gli operai vogliono vedere è che i rivoluzionari
dimostrino coi fatti di valere questo appellativo; di sapersi battere
contro il padronato e il potere borghese meglio dei riformisti (che lo
fanno solo a parole e quando lo fanno), di sapere indicare -
praticamente - la via della rivoluzione. Rigirare ancora tra le mani la
questione di che razza sono i riformisti, significa rigirarsi ancora in
mezzo ai propri dubbi politici; stare al centro tra gli opportunisti e
i rivoluzionari.

Come segno del risveglio proletario le lotte operaie di questi anni
costituiscono una promessa per la rivoluzione e allo stesso tempo un
banco di prova per i rivoluzionari. Aprono possibilità prima
inesistenti; ma esigono un impegno crescente. La borghesia non può
risolvere la sua crisi, politica ed economica, senza smantellare la
forza offensiva del proletariato. Il proletariato non solo può
resistere all'attacco borghese, ma può anche progredire. Perché ciò
avvenga, perché si sviluppi la capacità offensiva del proletariato
occorre che queste lotte si traducano in forme adeguate di
organizzazione, diventino il punto di partenza per raggiungere
traguardi più importanti. Battaglie decisive sono in vista. Compito
dell'internazionalismo militante è quello di assicurare questo
passaggio.

(Tratto dall'opuscolo Le Lotte operaie 1968-1971
e l'internazionalismo militante pubblicato il 15/2/1972)


I COMPAGNI DEL GRUPPO RIVOLUZIONE COMUNISTA

Busto Ars. e
Milano P.za Morselli 3 - 20154 Milano
http://digilander.libero.it/rivoluzionecom/
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Dal bellissimo blog:
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della crisi italiana)

lunedì, 31 dicembre 2007

2 - Lo tsunami politico-sociale del 1968

Nel 2008 che si sta avviando, avremo varie "celebrazioni" del 40mo del
"1968". Riteniamo utile riportare una succinta cronistoria di
quell'anno, tanto per avere date e fatti di riferimento per un giudizio
storico-politico di un anno che ha dato avvio ad un periodo di lotte
radicali, in cui la società borghese è stata rimessa in discussione da
cima a fondo, su tutte le questioni (lavoro, studio, famiglia, casa,
patriarcato, sesso, cultura, ecc.). Un anno che ha dato la stura ad un
movimento tellurico che ha fatto sussultare le borghesie di quasi tutti
i paesi ed, in particolare, quella italiana. Non per nulla, la classe
dominante nostrana ha reagito nel modo più violento, mediante le
"stragi di Stato", gli attacchi fascisti e i tentativi di golpe, non
sfigurando in tema di repressione rispetto alle borghesie sud-
americane.

Il periodo che inizia col 1968 e che finisce, a nostro parere, nel
1980 è stato, per l´Italia, un periodo di prolungata (la più lunga dell´
area europea ed occidentale) e strisciante (spesso dispiegata) guerra
civile. E´ un periodo unitario, che inizia con le occupazioni
universitarie e le agitazioni studentesche, si radicalizza e
caratterizza in vera e propria lotta di classe con le prime lotte
operaie autonome[1] e l´autunno caldo, per arroventarsi con la strage
di piazza Fontana a Milano (12/12/69), e quelle successive, con scontri
continui e sanguinosi con i gruppi di estrema destra, lo sviluppo della
lotta armata, fino alla strage di Bologna e, per le lotte operaie, alla
marcia dei "40.000" a Torino, entrambe del 1980.

La fase che è seguita (1980-2003) si caratterizza per la reazione
politico-sociale e l´arretramento operaio, proseguito inesorabile fino
allo sciopero improvviso e autonomo degli autoferrotranvieri di Milano
(dicembre 2003), che chiude la fase. Con la grande e prolungata lotta
degli operai Fiat di Melfi della primavera del 2004, si è riaperta una
nuova fase di inziativa operaia e di lotta proletaria.

Tornando al periodo 1968-1980, non conosciamo paesi occidentali che
abbiano percorso una fase simile della loro storia recente. In Francia,
il "maggio 1968" è durato una stagione. Pochi anni la contestazione
violenta in Germania, così come negli altri paesi europei o in
Giappone. L´Italia di quel periodo non sfigura, per intensità,
persistenza e grado di violenza sociale[2], di fronte a paesi quali la
Colombia, il Congo o il Nepal. Ci è parso utile, pertanto, il
ripercorrere, a grandi linee, gli episodi salienti di quel periodo, per
offrire materiale di riflessione al fine di affrontare al meglio la
nuova fase in cui siamo entrati.

Si sono evidenziati gli episodi salienti italiani, con riferimenti
anche ad alcuni episodi esteri, con esclusione di fatti collegati alle
lotte nazionalistiche (Ira in Ulster; Eta in Spagna; gruppi
palestinesi; ecc.).

* * *

Il 1968 è l'anno della prima ondata di lotte spontanee; l'anno del
risveglio proletario. Il 1968 è anche l'anno in cui la crisi del regime
borghese comincia a manifestarsi in modo aperto. Manifestazione
caratteristica di questa crisi è la contestazione studentesca che
divampa nelle università. La crisi borghese in Italia si manifesta come
crisi di regime, come una crisi di direzione della borghesia avente
carattere storico, dalla quale essa non può uscire senza un periodo di
lotte violente e risolutive; e senza un cambiamento del quadro politico-
istituzionale.

GENNAIO - S´intensificano le manifestazioni di protesta, in Europa e
in Usa, contro l´aggressione americana al Vietnam.

20 GENNAIO - Torino: viene occupata dagli studenti l´Università
umanistica di Palazzo Campana. Da qui a poco, le occupazioni
universitarie si espanderanno a macchia d´olio in tutta Italia.

3 FEBBRAIO - Il sindacato e la Pirelli firmano degli accordi per
alcuni aumenti salariali agli operai. Ma non tutti gli operai sono
soddisfatti. Questi danno vita a uno dei primi CuB, Comitati unitari di
Base, che oltre a contestare l'accordo fatto dai sindacati, che
chiamano "un bidone", vogliono dissociarsi e creare una base autonoma.
Chiederanno l'abolizione del cottimo, nuove normative per la salute in
fabbrica, e nuove assunzioni per non rendere i turni di lavoro
massacranti.

1° MARZO - Roma, Villa Borghese: "Battaglia di Valle Giulia" - Siamo
all'apice della contestazione studentesca e di fronte alla prima vera e
propria guerriglia urbana.

Intanto, le agitazioni studentesche si estendono alle scuole inferiori
ai licei.

7 MARZO. La sola Cgil indice uno sciopero nazionale sulle pensioni,
sotto la spinta della base che contesta la decisione dei vertici di
accordarsi col governo. Lo sciopero ha un gran seguito.

30 MARZ0 - Le stesse rivendicazioni fatte dai lavoratori alla Pirelli
Bicocca di Milano le fanno ora a Torino gli operai della Fiat[3].
Chiedono piu' umani orari di lavoro e dicono basta alla produzione a
cottimo. In pieno dissenso con i sindacati, ora, nel mondo operaio,
stanno sorgendo dei gruppi autonomi. Lo sciopero, iniziato il 30 marzo,
prosegue per due giorni ad aprile: con picchetti massicci davanti alle
porte, la partecipazione di numerosi studenti, interventi decisi della
polizia, e alcuni arresti.

19 APRILE - Dopo uno sciopero nel settore tessile, a Valdagno, ai
lanifici Marzotto, la manifestazione operaia, attaccata dalla polizia,
si trasforma in sommossa popolare. Chiedevano anche qui, "basta lavoro
a cottimo" e protestavano contro un piano di ristrutturazione che
prevedeva numerosi licenziamenti. Il clima e', come nelle universita',
di guerriglia. Viene abbattuta nella piazza centrale il monumento al
fondatore della dinastia, Gaetano Marzotto, saccheggiati i negozi
confezioni Marzotto, e assalita la caserma dei carabinieri. Arrestati
42 tra operai, lavoratori e studenti di Valdagno e delle valli.

MAGGIO ("francese") - A Parigi le rivolte studentesche diventano
oceaniche. Le violenti dimostrazioni a Nanterre coinvolgono la Sorbona,
che viene occupata dagli studenti, poi fatta sgomberare e chiusa dalle
autorita'. L'errore e' gravissimo, gli studenti che prima erano
asserragliati nelle singole Facolta' ora sono tutti riuniti nelle
strade e nelle piazze in cortei che si scontrano ripetutamente con la
polizia. In questi due giorni la Francia sembra precipitare in una
nuova rivoluzione. Al quartiere latino si innalzano le barricate e le
cariche della polizia causano incidenti e numerosi e gravi sono i
feriti da entrambe le parti. Il 16 maggio il movimento si estende anche
ai lavoratori e i sindacati proclamano lo sciopero generale, si ferma
tutta la Francia, e qui la protesta va ad assumere un carattere
preinsurrezionale. Vengono occupate le grandi fabbriche. Il 24 siamo a
un passo dalla rivolta insurrezionale. Si riunisce d'urgenza
l'Assemblea Nazionale. Le truppe circondano Parigi pronte a
intervenire, mentre ai Campi Elisi sfilano provocatoriamente contro gli
studenti cortei di gollisti per sostenere la Repubblica dopo che De
Gaulle (rientrato precipitosamente dalla Romania) ha rivolto un appello
a tutta la popolazione invitandola a ristabilire l'ordine minacciando
di far intervenire nelle strade di Parigi i carri armati. Il 30 viene
sciolto il parlamento e indette nuove elezioni e De Gaulle ha pieni
poteri. Si va alle elezioni sfruttando l'ondata di paura che si e'
diffusa nella borghesia, e i gollisti trionfano, rivincono le elezioni,
ma spostano questa volta il loro programma verso destra; George
Pompidou, pur delfino di De Gaulle viene messo da parte, De Gaulle
chiama a collaborare i suoi vecchi nemici, addirittura gli esponenti
dell'Oas, e gli estremisti di destra. In Italia molti stavano
osservando gli eventi in Francia, da una parte e dall'altra. Infatti il
31 a Roma a Campo dei Fiori, si svolgono per gli studenti francesi
manifestazioni di solidarieta', ma piovono tutt'altro che fiori,
piovono manganellate. Gli scontri, i caroselli e le cariche della
polizia per togliere le barricate degli studenti, provocano venti
feriti, decine di arresti e una cinquantina di denunce.

7 GIUGNO - Milano. Assalto degli studenti al Corriere della Sera. E'
la "battaglia di Via Solferino". La sede del giornale viene assediata
per ore, e nonostante la polizia sia giunta in forza viene assediata
essa stessa, frontalmente. Blocco delle strade per ore, barricate,
lancio di lacrimogeni, caroselli per disperdere gli studenti. La fine
della giornata campale lascia sbigottiti. Feriti da ogni parte, e 250
sono i fermati, dieci gli arrestati.

LUGLIO. Scioperi spontanei, critiche ai sindacati, nuove forme di
organizzazione "dal basso" alla Rhodiatoce di Pallanza, come a quella
di Casoria; così come all'Italsider di Bagnoli (Napoli).

27 LUGLIO - Agitazioni alla Montedison di Porto Marghera. Le richieste
vertono sul salario; abolizione delle gabbie (aree) salariali,
emolumenti uguali per tutti. Il 5 agosto gli operai contesteranno
apertamente la camera del lavoro.

28 LUGLIO - A Citta' del Messico le rivolte ci sono, quasi simili, ma
le truppe governative rispondono agli insorti delle Universita' a colpi
di bazooka.

1° AGOSTO. Un immenso corteo operaio (circa 12.000 manifestanti)
blocca per ore i punti nevralgici tra Mestre e Venezia (strade e
stazione ferroviaria).

21 AGOSTO - I carri armati russi invadono la Cecoslovacchia, mettendo
fine alla "primavera di Praga".

13 SETTEMBRE - Uno storico evento in Albania. Il Paese esce
improvvisamente dal Patto di Varsavia, rompe i legami con Mosca e si
mette nelle mani della Cina maoista, che per la prima volta controlla
un Paese occidentale dentro il Mediterraneo, fornendo aiuti economici,
militari e politici a questo territorio molto vicino all'Italia.

19 SETTEMBRE - E' la volta della Pirelli di Settimo Torinese. Gli
operai entrati in lotta come i loro colleghi di Milano, non ottenendo
alcun risultato sull'aumento del salario, praticano l'autoriduzione
della produzione. Sara' proprio a Torino in questa occasione che nasce,
dal vecchio gruppo pisano di Adriano Sofri, Lotta Continua

Il 3 OTTOBRE - Gli operai del capoluogo lombardo, con le stesse
rivendicazioni di Torino, iniziano alla Pirelli Bicocca una serie di
scioperi improvvisi, decisi dal basso, al grido di "più soldi, meno
fatica". Proseguiranno nei mesi successivi con fermate "a scacchiera" e
con l'autoriduzione della produzione. All'interno dei Comitati unitari
di Base, nasce Avanguardia operaia con leader Corvisieri e Gorla. Ma
non manca a Milano un altro gruppo che si sta organizzando e imponendo.
E' Potere operaio, guidato da Oreste Scalzone, Franco Piperno e Antonio
(Toni) Negri. Sfera d'azione il centro Italia con Roma, ma soprattutto
opera nel Nord Est. La centrale attiva e' a Milano ma la mente
operativa e' a Padova e a Trento, e solo a fine luglio '69 si
organizzera' in movimento e con un suo giornale omonimo.

2 OTTOBRE - Messico - Olimpiadi di sangue. "La strage degli studenti".
Approfittando dell'evento sportivo al centro dell'attenzione mondiale,
gli studenti universitari occupano gli edifici delle Facolta' e
contestano il governo alla vigilia dell'inaugurazione dei Giochi. La
repressione e' durissima; un massacro. Sulla grande Piazza delle Tre
Culture interviene l'esercito che spara con i bazooka ad altezza
d'uomo, li assedia dall'alto con gli elicotteri e lancia lacrimogeni.
Una rivolta soffocata nel sangue. Una strage di studenti. I morti
saranno un centinaio, migliaia i feriti, migliaia gli arresti.

15 OTTOBRE - Il 19 settembre era iniziata a Pisa la protesta alla
Saint Gobain che minacciava di licenziare alcuni operai. Le agitazioni
in corso e le varie assemblee vengono pero' fronteggiate da un gruppo
di baschi neri che si infiltrano in quella che era una semplice
assemblea, la quale degenera subito in una rivolta incontrollata.
L'agitazione va oltre le intenzioni quando gruppi di destra, polizia e
contestatari si affrontano. Si fanno barricate, si attuano blocchi
stradali e ferroviari, si susseguono le cariche e gli scontri.

16 OTTOBRE - Dalle Universita' si è passati poi ai Licei e ora si è
giunti alle Medie. A Roma è occupato il Liceo Mamiani per protestare
contro la radiazione dalle scuole di tutta Italia di tre studenti
ribelli. Per solidarieta', la protesta prima si estende nella capitale,
poi in tutte le scuole d'Italia.

22 OTTOBRE - Sono ormai migliaia gli studenti arrestati o denunciati e
centinaia sono gia' finiti in carcere. Si era partiti con il pugno di
ferro, convinti di dare l'esempio, e ci si e' trovati seguendo la linea
dura con le carceri piene di ragazzi e migliaia di denunciati. Ora, con
un lampo di "intelligenza politica", si fa marcia indietro, ci si rende
conto che si sono oltrepassati con l'emotivita' e la repressione i
limiti della ragione. La Camera e il Senato votano un' amnistia per
tutti i reati politici; tali erano stati ritenuti quelli degli
studenti.

OTTOBRE (e oltre). Inizia un lungo e aspro sciopero alla Mira Lanza,
in provincia di Venezia. Seguono, nella stessa provincia, gli scioperi
dell'Italsider di Marghera, della Chatillon e altre. Idem alla
Rhodiatoce di Verbania. Alla Marzotto di Pisa, gli operai licenziati si
organizzano in un "Comitato di agitazione", fuori da ogni controllo
sindacale. Partono i primi scioperi degli impiegati: a Milano in più di
30 fabbriche, soprattutto alla Snam Progetti, alla Falck, alla Sit
Siemens, all'Alfa Romeo, alla Borletti, alla Breda Finanziaria, ecc.
Così come all'Olivetti di Ivrea e all'Italsider di Taranto.

14 NOVEMBRE. Sciopero generale delle pensioni, il primo condotto
unitariamente dalle confederazioni sindacali, dopo la scissione di
vent'anni prima.

2 DICEMBRE - La polizia questa volta spara ad Avola in Sicilia nel
corso di un'agitazione di braccianti che chiedevano la parita' negli
stipendi con il nord ("a uguale lavoro, uguale stipendio"). Dopo le
cariche della polizia per disperdere i manifestanti, sul terreno
restano due braccianti uccisi. Prima in Sicilia poi in tutta Italia, si
svolgono manifestazioni e uno sciopero generale contro questi
interventi della polizia; e accadono altri incidenti gravi.

13 DICEMBRE - Il governo Leone e' durato poco: cinque mesi. Il 19
novembre il Presidente da' le dimissioni e si dà l'incarico il 26
novembre a Mariano Rumor, che il 13 dicembre forma il suo 1° governo
con DC, PSI e PRI. Forte la presenza dei socialisti che ricevono 10
ministeri

14 DICEMBRE - Scontri in Brasile. Alle manifestazioni di studenti
diventate incandescenti il governo di Costa e Silva, proclama lo stato
di assedio nel Paese, sospende ogni diritto politico e le attivita' del
Parlamento; istituisce una rigida censura e perseguita tutti i partiti.
I morti e i feriti in questa manifestazione non furono mai divulgati,
ma di incidenti gravi ve ne furono molti e molti soggetti sparirono
dalla circolazione.
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[1] Per le lotte operaie, il 1968 è il trampolino di lancio per il
1969: le ore di sciopero nell'industria sono 28milioni nel 1967, poco
meno di 50milioni nel 1968, oltre 230milioni nel 1969. I soli
metalmeccanici passano dai 20milioni di ore di sciopero del 1968 ai
153milioni del 1969. (Guido Crainz, Il paese mancato, ed.2005, p.325.)

[2] Dal 1969 al 1975 rimangono «uccise o ferite 442 persone a causa di
episodi di violenza o attentati. Ben 413 sono stati determinati dalle
`stragi di stato' e dall'eversione fascista, mentre solo 29 sono
ascrivibili alle organizzazioni di sinistra» (da "Il nemico interno",
dello storico Cesare Bermani). Tra il primo gennaio 1969 e il 31
dicembre 1987 si sono verificati in Italia 14.591 atti di violenza con
una motivazione politica, secondo i dati del Ministero dell'interno.
Atti che hanno causato 491 morti e 1181 feriti.

[3] Gli operai della Fiat, giunti sino alle 102.000 unità del 1963 e
diminuiti di alcune migliaia nel biennio successivo, aumentano di nuovo
con vigore fino ai 139.000 dell'"autunno caldo" (1969): con l'ingresso
di 12.000 giovani nel 1968, di 14.000 nel 1969 (Crainz, Il paese
mancato, p.322).